domenica 31 luglio 2011

Ipotesi su Gesù

Ipotesi su Gesù
L'Espresso
, 4 agosto 2011


Il direttore di Micromega, e militante di tante battaglie politico-culturali, diventa storico del Cristianesimo? Il denso libretto su Gesù che ha pubblicato di recente (Paolo Flores d’Arcais, “Gesù. L’invenzione del Dio cistiano”, Add editore, pp. 127, € 5,00) attesta un interesse per le origini del cristianesimo, che qualche apologeta potrebbe interpretare come l’inizio di un cammino di conversione. Flores, tuttavia, arriva a studiare la figura di Gesù partendo dalla Chiesa cattolica e dal Papa, temi a cui si dedica da tempo con chiaro spirito polemico. Ha ragione almeno in questo, che non si può dedicarsi allo studio di Gesù se non parlando della Chiesa. I due temi – Gesù di Nazareth e il cristianesimo con la sua storia – non sono separabili. Il che ha molte implicazioni: per esempio, e non è il caso di Flores, non si può decidere che si guarda al messaggio originale di Gesù prescindendo dalla Chiesa (e dalle tante sue magagne) – come spesso hanno voluto fare gli uomini di Chiesa. Ma d’altra parte, come viene in mente a chi cerca ancora di credere a quel messaggio, non si può ritenere che, dimostrata la spesso evidente contraddittorietà delle testimonianze storiche su Gesù, sia liquidata anche la storia del cristianesimo o, come dice Flores, dei cristianesimi. Che si mostrano ancora ben vivi, fortunatamente non solo in termini di proprietà e privilegi ecclesiastici, e che giustificano l’idea secondo cui “non possiamo non dirci cristiani”.

Gianni Vattimo

Paolo Flores d’Arcais, “Gesù. L’invenzione del Dio cistiano”, Add editore, pp. 127, € 5,00

lunedì 25 luglio 2011

Un Nietzsche italiano: Gianni Vattimo e le avventure dell'oltreuomo rivoluzionario



A settembre in libreria da Manifestolibri

Un Nietzsche italiano: Gianni Vattimo e le avventure dell'oltreuomo rivoluzionario

Con un'intervista a Vattimo su Nietzsche, la rivoluzione e il riflusso

Se il primo incontro di Gianni Vattimo con Nietzsche intendeva soprattutto denazificare il filosofo tedesco e recuperarlo in chiave esistenzialistica, ben più originale è la lettura degli anni Settanta, quando il padre dello Zarathustra assume le vesti tutte politiche di un autore libertario e “rivoluzionario”, diventando punto di riferimento per la sinistra.
Il volume ripercorre criticamente la storia dell’«oltreuomo» dionisiaco, mettendola in relazione con l’uso pubblico che di Nietzsche è stato fatto nel periodo della contestazione sessantottina, dell’Autonomia e infine del terrorismo e del riflusso.
Emerge in controluce la storia di una parte dell’intellighenzia critica italiana, alla ricerca di una via d’uscita “individualistica” dalla dialettica e dalla crisi del marxismo anche attraverso autori che, pur collocati a destra, mettevano in evidenza i limiti della società borghese e del pensiero universalistico.
Con il rischio, però, di favorire quella mentalità neoliberale che costituisce oggi un pericoloso avversario per la democrazia moderna.

giovedì 21 luglio 2011

Alpini & TAV


Da Kabul alla val Susa, gli alpini contro i no Tav
il manifesto, 21 luglio 2011
Mauro Ravarino

La voce girava da tempo: «Arriveranno pure gli alpini!». Come se carabinieri e polizia non bastassero in una Val di Susa già altamente militarizzata. Eccoli, gli alpini della Taurinense sono arrivati alla Maddalena di Chiomonte, in 150 con una quindicina di blindati, un mezzo anfibio e l'attrezzatura da missione all'estero. Si tratta del terzo battaglione Susa, di ritorno da Kabul e di stanza a Pinerolo. «Cosa facciano realmente nel fortino della Maddalena ancora non è chiaro - dicono i No Tav - sicuramente daranno man forte alla polizia che, visto l'impegno continuo, chiede riposo e ferie. In ogni caso, siamo di fronte a un'anomalia: gli alpini che occupano le Alpi contrapponendosi alle popolazioni che le abitano». I militari dell'esercito dovrebbero in un primo momento affiancare le forze di polizia, da giugno impegnate a presidiare l'area del "cantiere fantasma" del tunnel di base, tutt'altro che avviato come ha constatato in una recente visita l'europarlamentare Idv Gianni Vattimo. In un secondo tempo, potrebbero sostituire del tutto gli agenti e l'area potrebbe trasformarsi in una zona di interesse strategico nazionale, come chiedevano alcuni esponenti del Pd torinese prima dello sgombero del 27 giugno.
In una valle dove storicamente gli alpini sono tanti, trovarsi dall'altra parte della barricata militari con la penna nera, fa l'effetto di uno schiaffo. Sono «truppe di occupazione», denuncia il movimento. Anche tra le associazioni di alpini il malumore cresce, lo dimostra l'intervento di Mario Fontana, alpino No Tav: «È un atto irresponsabile utilizzarli per motivi di ordine pubblico». Se si corre indietro nel tempo, la leva obbligatoria - in un territorio "difficile" e "ribelle" come la Val di Susa o le Alpi in genere - aveva trovato nel corpo degli alpini un compromesso accettato e vissuto con orgoglio. «Essere alpino - spiega Francesco Richetto, comitato No Tav - per chi abita e vive le Alpi molto spesso è segno di onore e amore per la propria terra. Tutto questo però è cambiato da quando il servizio di leva è stato eliminato e gli arruolamenti sono diventati volontari. Ora, per lo più, sono visti come mercenari. Ma soprattutto ci chiediamo cosa stanno a fare. Lo stesso ci dovremmo domandare rispetto a quelli impiegati al mercato di Porta Palazzo a Torino».
Scrive notav.info, uno dei siti più attivi: «Non è il colore della divisa o la penna su un cappello che modifica la situazione o i livelli di resistenza. Come spontaneamente si iniziò ad urlare a Venaus, proprio da un gruppo di alpini No Tav: sarà dura!». Intanto, dopo aver incassato il sostegno del fantomatico Spider Truman («la vostra lotta è la lotta contro la corruzione, il malaffare, contro una truffa colossale perpetrata dalla vera casta, quella delle imprese, del profitto e degli affari»), i No Tav continuano il campeggio e il presidio permanente nei pressi della centrale di Chiomonte. Sabato andranno in pullman a Genova, domenica ospiteranno Haidi Giuliani in valle, per ribadire che «la lotta è unica».

lunedì 18 luglio 2011

In edicola il nuovo numero di MicroMega

Il nuovo numero di MicroMega sarà domani in edicola...
DIALOGOPaolo Flores d’Arcais / Roberta De Monticelli - Controversia sull’etica
È possibile una fondazione razionale del pensiero pratico? Esiste una morale razionalmente ‘vera’? Se sì, in che modo vi si può risalire dal momento che la storia non ci dà testimonianza di una sola norma universalmente accettata in tutte le società di Homo sapiens? E se no, come è possibile salvarsi dal nichilismo e dalla legge del più forte?

ICEBERG - verità/Verità
Richard Rorty - A sinistra con Heidegger
Tessendo insieme in maniera originale cristianesimo, Heidegger e ideali democratici, Gianni Vattimo propone il nichilismo come la filosofia più funzionale a una politica di sinistra, che trarrebbe beneficio dalla rinuncia al razionalismo illuminato. Per Vattimo – sottolinea in questo saggio uno dei maggiori esponenti dell’ermeneutica contemporanea – ‘emancipazione e nichilismo vanno a braccetto’.

Paolo Flores d’Arcais - Per una critica esistenzial-empirista dell’ermeneuticaLa filosofia di Gianni Vattimo è essenzialmente una filosofia etico-politica e l’ermenutica rappresenta per l’autore di Oltre l’interpretazione la migliore filosofia sulla cui base costruire un progetto politico di emancipazione. Ma essa si scontra – sia sul piano etico-politico che su quello strettamente teoretico con difficoltà insormontabili. Per superare le quali non le resta che compiere l’ultimo decisivo passo: la rinuncia all’essere.

Richard Rorty in conversazione con Joshua Knobe - Un talento da bricoleurCe n’è per tutti: da Platone a Kant, da Putnam a Foucault. In questa brillante intervista rilasciata a The Dualist nel 1995 (e pubblicata qui per la prima volta in italiano), un Richard Rorty schietto e diretto spiega le sue scelte filosofiche – spesso dettate da contingenze e casualità – e si interroga sul motivo del suo successo.

Gianni Vattimo in conversazione con Daniel Gamper - Addio alla verità. Ma quale?
Esiste un uso appropriato del concetto di verità? Oppure è davvero tutto solo interpretazione? In base a che cosa si sceglie ‘da che parte stare’? Che cos’è la violenza? Qual è il rapporto tra secolarizzazione e cristianesimo? A partire dal suo ultimo libro, Addio alla verità, Gianni Vattimo ripercorre il suo itinerario filosofico e politico, spiegando come sia possibile una lettura di sinistra di Heidegger.

Maurizio Ferraris - Epistemologia ad personam Speriamo che l’ultimo libro di Gianni Vattimo, Addio alla verità, non finisca nelle mani di Niccolò Ghedini. L’avvocato del premier potrebbe trovarci infatti delle ottime argomentazioni a sostegno di originali interpretazioni circa le serate ad Arcore. Rinunciare alla verità, oltre a essere assurdo sul piano teorico, è pericoloso su quello etico-politico: da sempre infatti, nel realismo è incorporata la critica, nell’irrealismo l’acquiescenza.

Paolo Flores d’Arcais - Addio alla verità? Addio all’essere!La pretesa di Gianni Vattimo di dire addio alla verità – che egli avanza addirittura come dovere democratico – dimentica l’essenziale: che le affermazioni sui fatti (piove) e quelle sulle norme (il matrimonio è indissolubile) appartengono a due ambiti completamente diversi. E rinunciare alle ‘modeste verità di fatto’ (v minuscola) ci impedisce anche di smascherare chi si appella abusivamente alla Verità.

INEDITO 1
Hannah Arendt - La storia e l’azione (presentazione di Dario Cecchi)Conclusa la stesura di Le origini del totalitarismo, nella prima metà degli anni Cinquanta Hannah Arendt si dedica all’approfondimento della relazione fra totalitarismo e marxismo e all’indagine di alcune categorie della filosofia antica e moderna che diventeranno fondamentali per la sua riflessione successiva, quella confluita nella Vita activa e nella raccolta di saggi Tra passato e futuro. Negli scritti qui proposti per la prima volta in italiano, il concetto di ‘tradizione’ è contrapposto a quello di ‘storia’ come ‘orizzonte aperto all’avvenimento di tutte le possibili storie singolari’.

INEDITO 2Günther Anders - Senza radici (presentazione di Micaela Latini)Con la sua intensa attività filosofica ‘d’occasione’, Günther Anders ha sviluppato una originale riflessione sulla condizione della ‘non-appartenza’. Nei testi che seguono, proposti per la prima volta al lettore italiano, la tematica dello ‘sradicamento’ è prima declinata come necessità/impossibilità di una ricostruzione unitaria della propria vita nel ricordo, poi con riferimento alla questione della credenza religiosa, sotto forma di un dialogo socratico fra l’incarnazione del dogmatismo e quella della libertà di pensiero.

INEDITO 3
Theodor W. Adorno - Massa e leader (presentazione di Stefano Petrucciani)
Per la prima volta tradotti in italiano, questi tre brevi saggi di Adorno – Televisione come ideologia (1953), Indagini d’opinione e sfera pubblica (1964), Leadership democratica e manipolazione delle masse (1950) – sviluppano tematiche tipicamente francofortesi, prima fra tutte la critica dei dispositivi di dominio presenti nelle società di massa novecentesche.
Ma ci consegnano anche un Adorno inedito e sorprendente, che spiega quale deve essere il comportamento di un leader politico ‘veramente democratico’.

INEDITO 4Friedrich W.J. Schelling - La Bibbia e la storia (presentazione di Adriano Ardovino)
Le recenti pubblicazioni su Gesù di papa Benedetto XVI rappresentano il massimo tentativo – in epoca post-conciliare – di mettere in discussione il metodo storico-critico nell’interpretazione dei testi sacri. Eppure già il giovane Schelling vedeva nella lettura storico-critica (insieme all’indagine filosofica intorno al fenomeno della religione in quanto tale) l’unico modo per salvare la teologia dalla crisi in cui era sprofondata all’epoca dei Lumi. Una lezione di grande attualità che riproponiamo con due testi inediti del ‘periodo tubinghese’ (1790-1795).

SAGGIOGiorgio Cesarale - Marx sugli scaffali di Barnes & NoblesCi avevano detto che era rimasto sepolto sotto i detriti del Muro di Berlino, travolto dal crollo dei regimi del socialismo reale. In realtà negli ultimi anni il pensiero di Karl Marx è stato protagonista di un prepotente ritorno sulla scena, complice anche una crisi economica planetaria che ha dimostrato la debolezza dell’impianto teorico ‘mainstream’ nelle scienze economiche. Ripercorriamo le principale tendenze del revival marxiano.

domenica 17 luglio 2011

"Kallas venga a vedere il cantiere che non c'è"

"Kallas venga a vedere il cantiere che non c'è"
15 luglio 2011 — La Repubblica, Torino

NEL giorno in cui il Tar conferma che il cantiere a Chiomonte è legittimo, l'europarlamentare Gianni Vattimo visita il «fortino» e, al termine di un giro di due ore, taglia corto: «Qui c' è di tutto ma certo non un cantiere. Kallas prima di dare i soldi dell'Europa venga a vedere. Gli fanno credere ci sia un cantiere e invece è solo un accampamento militare». Vattimo ha «ispezionato» la zona con in tasca la delega di altre cinque colleghi di vari gruppi della sinistra europea. Con lui anche rappresentanti della Comunità montanae dei comuni di Chiomonte e Giaglione. Sono invece rimasti al cancello i giornalisti, perché non è stato consentito l'ingresso all'interno della zona rossa. «L'area dove dovrà essere fatto il buco non è nemmeno recintata - ha commentato Vattimo al termine della visita - e non è in corso alcun lavoro che faccia capire che il cantiere è aperto». La delegazione ha preso appunti e ora il resoconto diventerà un' interrogazione al Parlamento europeo. Secondo l'europarlamentare dell' Idv «al di là delle opinioni che si possono avere sull' opera, e io sono contrario, esiste però un dato di fatto. L'Europa ha imposto una scadenza e oggi ho visto con i miei occhi che non è stata rispettata. Chiedo a Bruxelles di essere rigorosa con l'Italia come lo è con gli altri progetti. Se lascia correre anche questa volta, gli altri Paesi potrebbero avrebbe diritto di pretendere un analogo trattamento». «Prima di mettere mano al portafoglio - conclude Vattimo - vengano a vedere: qui c'è solo una valle di militarizzata». La visita si è svolta sotto la «tutela» delle forze dell' ordine che hanno anche sorvolato la zona in elicottero. - (mc.g.)

A review of "Farewell to Truth" - una recensione di "Addio alla verità"


Dal sito Guardian.co.uk

Et cetera: non-fiction roundup – reviews
Steven Poole - guardian.co.uk, Friday 15 July 2011 22.55 BST

A Farewell to Truth, by Gianni Vattimo, translated by William McCuaig (Columbia, £17)

A more nuanced treatment, here, of the social construction of reality: the inaccessibility of any perspectiveless truth that is not "produced" by human practices does not imply, the author warns, that "anything goes"; instead, it obliges us to come to reasoned agreement. "If there were an objective truth to social and economic laws," Vattimo points out with a twinkle, "democracy would be an utterly irrational choice." Therefore, he suggests, we must bid farewell to "truth" in order to proceed in freedom.

In this dense but spryly provocative work, leaning mainly on Heidegger and Nietzsche, Vattimo – both a philosopher and a member of the European parliament – reclaims "nihilism" as a positive guiding spirit for our time, in an age where the "death of metaphysics" is widely acknowledged, yet leaders still appeal to "absolutes" to justify wars. Despairing of the Catholic church, our "enslavement" to "electronic media", and analytic philosophy, Vattimo bets everything on what he sees as the central Christian ideal of "charity", translatable also as Richard Rorty's "solidarity". Both require, as the book's lovely final image has it, that we keep an eye on "a more distant future that we can never really forget".

“Qui non vedo nessun cantiere”

L’eurodeputato Vattimo nel fortino di Chiomonte “Qui non vedo nessun cantiere”
La Stampa - Torino, 15 luglio 2011

di Claudio Laugeri, inviato a Chiomonte

Tutto e il contrario di tutto. Il cantiere avviato da Ltf a Chiomonte è «fantasmatico, un cantiere che non è un cantiere» secondo l’eurodeputato Gianni Vattimo, entrato ieri mattina assieme ad altri nove amministratori pubblici nell’area recintata e protetta dalle forze dell’ordine. La sera prima, all'altezza dello sbarramento posizionato alla Centrale Idroelettrica di via dell’Avanà, era andata in scena un’altra contestazione: circa 150 No Tav, fra cui donne e bambini, hanno creato un presidio che al rumore di pentole e fischietti è finito col taglio di un lembo della rete di cinta della palazzina a fianco della Centrale Elettrica.
«I lavori fatti sono necessari e di preparazione alle altre opere previste», è la versione di Ltf. La visita a Chiomonte dell’eurodeputato era stata preannunciata con lettera alla questuramercoledì. Vattimo è firmatario assieme a una mezza dozzina di colleghi (ma ieri lui era l’unico presente) di un documento dove chiede la revoca dei finanziamenti dell’Unione europea per un’opera non avviata nei tempi previsti. «Come facciamo a dare soldi a chi non rispetta le regole per ottenerli? Ci metteremmo in una posizione difficile da sostenere con altri Paesi, che chiedono finanziamenti a fronte di garanzie da rispettare», sostiene Vattimo.
Le recinzioni e il filo spinato, le strade (in terra battuta e asfaltate) e la placca-ponte di metallo utilizzata come pavimentazione per la deviazione dall'autostrada verso la strada dell'Avanà, i portoni-cancellata per regolare l'afflusso, la copertura a salvaguardia dell'area archeologica: sono opere sotto gli occhi di tutti. Lavori fatti negli ultimi 15 giorni. L'interpretazione è diversa: per Vattimo e gli amministratori entrati con lui nel "fortino", quelle opere non denotano un cantiere; Ltf sostiene il contrario.
C'è di più. L'europarlamentare e la Comunità montana sostengono che "i terreni dove sono previsti gli scavi non sono stati ancora espropriati, né sono state avviate le pratiche per farlo". La versione d Ltf: "è vero, non sono espropriati. Ma le pratiche sono già state avviate e la prossima settimana saranno firmati i decreti di esproprio".

Alta velocità, Chiomonte: dietro al recinto non c'è traccia del cantiere

Da Il Fatto quotidiano, 15 luglio 2011

L'eurodeputato Vattimo in visita al sito dove dovrebbe partire il cunicolo esplorativo della Torino-Lione: "Abbiamo constatato che i lavori non sono neanche iniziati"
di Stefano Caselli

Fino al 27 giugno la chiamavano “libera repubblica della Maddalena”. In quelle settimane, in cui il movimento No Tav prese possesso dell’area del futuro, primo cantiere della Torino-Lione, si gridò all’abdicazione dello Stato.

Era un’osservazione non del tutto impropria, tuttavia, tra quei pochi ettari di vigne e di bosco, si poteva camminare, con il solo incomodo di qualche tronco di ciliegio da scavalcare.

Oggi, a tre settimane dallo sgombero della “libera repubblica” e a dieci giorni dai pesanti scontri del 3 luglio, l’area è completamente off limits per tutti, stampa compresa, anche se i giornalisti sono stati invitati per la visita dell’europarlamentare Gianni Vattimo. Entra solo lui (non senza difficoltà) accompagnato da un membro della Comunità montana e da un paio di esponenti dei Comitati No Tav; gli altri, compresa una signora che da venti giorni non può lavorare nelle sue vigne, fuori.



All’imbocco della via dell’Avanà, dove i No Tav montarono la barricata “Stalingrado” che si sbriciolò come un grissino al primo colpo di ruspa, c’è ora un pesante cancello metallico con tanto di filo spinato, presidiato da carabinieri in mimetica. I locali della centrale elettrica, come quelli più a monte del museo archeologico della Maddalena, sono occupati dalle forze dell’ordine.

Alle 13, ora del cambio turno, si possono contare nove mezzi (di cui tre blindati) salire verso la zona del cantiere, sotto il viadotto della Ramat dell’autostrada Torino-Bardonecchia. Tra Carabinieri, Polizia e Guardia di Finanza erano in seicento subito dopo lo sgombero: “Ora – racconta un agente in borghese fuori dalla “zona rossa” mentre un elicottero militare sorvola la zona – siamo di meno, tre, quattrocento”. Sono settimane pesanti, anche per loro: “Noi abbiamo fatto il nostro mestiere – racconta – e lo abbiamo fatto bene, credo. Almeno rispetto al 2005 (scontri di Venaus, Ndr), per non parlare del 2001… Il problema è che non si può andare avanti così per molto. Basta che inizi il campionato di calcio, e qui rischiamo di smobilitare”. Pochi metri più in là un geometra di Almese sembra dargli ragione: “Noi non molliamo. Voglio vedere – dice indicando la stretta gola di fronte alla centrale elettrica – come faranno a far passare di qui il primo camion di terra. Ce ne vogliono migliaia. Che fanno? Li scortano uno a uno fino al Mocenisio (una delle probabili zone di smaltimento dello smarino, Ndr)?”.

Ma cosa difende questo imponente schieramento di forze? L’inizio dei lavori del Tav Torino-Lione? No di certo. Il cunicolo della Maddalena è un semplice tunnel esplorativo per sondare il ventre della montagna. I lavori portati finora a termine, oltre alla discenderia provvisoria dal viadotto dell’A32, sono soltanto quelli di recinzione dell’area sottoposta a ordinanza prefettizia, lavori realizzati dalla Italcoge e dalla Martina, due imprese locai della Valle, una della quali (la Italcoge di Susa), inciampata negli anni scorsi in qualche procedimento giudiziario. Della Cmc di Ravenna, che ha vinto l’appalto per scavare il tunnel, non c’è ancora traccia: “Secondo me non arriveranno mai”, ghigna il geometra di Almese.

Del “cantiere fantasma” parla Gianni Vattimo dopo un’ora di visita guidata: “Abbiamo constatato una cosa molto semplice – racconta il filosofo europarlamentare – che il cantiere semplicemente non c’è. O almeno, non ci sono le condizioni per cui il fondo europeo a favore di Ltf (Lyon-Turin Ferroviaire, l’impresa incaricata della progettazione, Ndr) è stato sbloccato: l’unico lavoro realizzato è la recinzione della zona, oltre a qualche lavorino stradale per l’accesso alla Maddalena, ma nell’area dello scavo non c’è un bel niente”. “E non possono fare nulla – giura un esponente della Comunità montana – perché nella zona dove dovrebbe materialmente partire il tunnel (non compresa nel territorio requisito dal prefetto, Ndr) gli espropri temporanei non sono neanche stati avviati. Ci vorrà tempo”.

Il Tar del Lazio, intanto, ha respinto il primo dei ricorsi della Comunità montana contro la legittimità del cantiere; ce ne saranno altri.

Sembra risolto, invece, il “giallo” della commissione Via. I deputati torinesi Stefano Esposito (Pd) e Agostino Ghiglia (Pdl) erano saltati sulla sedia mercoledì nell’apprendere che la commissione incaricata di fornire la valutazione d’impatto ambientale (Via) entro il 31 luglio, era scaduta e vacante. Ventiquattrore di panico per i finanziamenti europei, poi la soluzione: la proroga della Commisione Via è stata inserita in un emendamento alla Manovra finanziaria.

Gianni Vattimo visita il fortino della Maddalena di Chiomonte


dal sito notav.info
15 luglio 2011

Dopo settimane di richieste ufficiali finalmente oggi l’eurodeputato ha potuto accedere al sito della Maddalena di Chiomonte. L’appuntamento è alle 11.30 al check point della centrale elettrica di Chiomonte dove da settimane vengono fermati i contadini diretti alle loro vigne. Già da subito un normale cittadino potrebbe notare che qualcosa non funziona. Un cancello molto robusto in ferro con reti metalliche e filo spinato su ogni lato bloccano la strada. L’ingresso è presidiato in maniera pesante da un ingente numero di poliziotti e carabinieri in tenuta anti sommossa che bloccano e chiedono le generalità a chi si avvicina. Dopo pochi minuti due funzionari con il sorriso spuntano da dietro le truppe e con una bella lista stilata da questore o prefetto che sia stabiliscono chi entra e chi no. Dopo circa tre quarti d’ora vengono lasciati fuori giornalisti e semplici cittadini. Passano in dieci, un avvocato, l’eurodeputato e alcuni amministratori locali. Per gli altri nulla, skytg 24, LaRepubblica, LaStampa, Il fatto quotidiano, Luna Nuova e numerose testate stampa locali vengono lasciate fuori. L’attesa dura ancora un paio d’ore e poi ecco rispuntare il corteo dell’eurodeputato pesantemente scortato dalle forze dell’ordine. Le impressioni a questo punto contano poco, sono i fatti a parlare e nelle interviste Vattimo lo spiegherà molto bene. Siamo di fronte ad un’area militare, sotto pesante controllo. L’area di cantiere non è stata assolutamente occupata e ad oggi è stato cintato un piazzale parcheggio e occupato il museo archeologico della Maddalena. L’area cintata dalle parole dei visitatori sembra assomigliare alla base militare di Guantanamo e di cantiere non ha nulla. Le amministrazioni locali chiedono quindi l’immediato sgombero dell’area da parte delle truppe e Gianni Vattimo si farà carico di riferire la situazione e cercherà, spiegando ciò che ha visto di bloccare ogni finanziamento diretto a Chiomonte, dove di cantieri non c’è neanche l’ombra.

Qui di seguito due video della giornata: impressioni all'ingresso del check-point centrale, e all'uscita dopo la visita.



Intervento di Gianni Vattimo alla Milanesiana


Dal sito notav.info

Domandarsi chi urla e chi tace.

Urlo e silenzio, anche questo, non sono fenomeni ”oggettivi”. Dunque, carica di soggettività può e deve essere la risposta al “tema”.

Io ho urlato molto domenica 3 luglio cercando di avvicinarmi al cosiddetto cantiere della Maddalena a Chiomonte, Val di Susa. Cosiddetto cantiere perché era, ed è ancora, semplicemente una piccola zona fortificata dove circa un migliaio di agenti di polizia sanno asserragliati e cercano di tener lontani i molti abitanti della Valle che da mesi avevano occupato la zona per impedire l’avvio di lavori per il famoso tunnel che dovrebbe servire al nuovo Treno ad Alta velocità (TAV) Torino-Lione.

I valsusini occupanti sono stati scacciati alla fine di giugno con una operazione militare che a detta del ministro dell’Interno doveva garantire l’inizio dei lavori di scavo del primo tunnel – condizione indispensabili perché non sia tolto il contributo europeo di 672 milioni di euro, promesso per la realizzazione dell’opera.

I cittadini della Val Susa che si oppongono al TAV – quasi tutti,e cioè quelli che non hanno interessi economici diretti nella costruzione, e invece sono minacciati dalle gravi conseguenze che ne deriverebbero, quali aumento dei tumori da respirazione di amianto e uranio, vent’anni circa di lavori in tutta la Valle con andirivieni di camion carichi di materiali di scavo, distruzione di vigne e coltivi, demolizione di abitazioni e inquinamento di falde acquifere – hanno cercato in tutti i modi di fare ascoltare la loro voce alle autorità competenti (!), anche in ottemperanza a specifiche direttive contenute negli accordi stipulati dai governi - italiano, francese, regione Piemonte, Unione Europea - ma sono stati sistematicamente e illegalmente esclusi da tutti i vari tavoli di concertazione, dove era permesso sedere solo a sindaci e amministratori locali dichiaratamente e preventivamente favorevoli all’opera.

In queste condizioni è maturato il loro urlo, risuonato fortissimo soprattutto domenica 3 luglio, e ripetuto a Torino la sera dell’8 – sempre nel silenzio quasi completo dei media “indipendenti” di ogni specie.

Il silenzio in cui i valsusini sono stati tenuti per tutti questi anni di tenace resistenza, e quello a cui si sono ridotti domenica 3 luglio sotto la pioggia di lacrimogeni della polizia – lacrimogeni contenenti gas CS, paradossalmente vietato in guerra perché cancerogeno ma non esplicitamente vietato per usi di ordine pubblico – non ha niente di mistico e meditativo. È solo il risultato di un atto di forza che ministri e politici italiani di tutti gli orientamenti, con a capo la cosiddetta opposizione dei Bersani, Chiamparino, Fassino – si ostinano a non chiamare violenza ma mantenimento dell’ordine pubblico – un po’ come le nostre “missioni” all’estero, dall’Afganistan alla Libia non si chiamano guerre, quali sono, ma interventi umanitari.

Dove mai possiamo aspettarci che buongiorno voglia dire veramente buongiorno? La tentazione del silenzio – giacché di questo, in fondo, si tratta – diviene sempre più forte, quanto più si prende atto che tutto, nel sistema del consenso imposto, è falsificato. Parlare civilmente non sembra avere più senso, e solo l’urlo, qualche volta, riesce a squarciare la cortina fumogena, non sempre prodotta dai gas polizieschi, ma più costantemente e irrimediabilmente creata e mantenuta viva dai media addomesticati.

Il silenzio di cui facciamo esperienza nella nostra società attuale sembra sempre più inseparabile dalla violenza di chi esercita il potere di tacitare – come sapeva bene Walter Benjamin quando, nelle Tesi sulla filosofia della storia, parlava del silenzio dei vinti che non lasciano traccia nella vicenda del mondo. Parlare dell’essere, così più o meno Martin Heidegger, significa tacere autenticamente del silenzio.

Ma tacere ascoltando il silenzio dell’essere, forse anche per lui, non è altro che lasciar parlare i tanti vinti della storia – della storia passata o anche della cronaca recente di una valle alpina solo apparentemente marginale rispetto al tanto rumore del mondo.

Intervista a Santiago Zabala su Hermeneutic Communism (scritto con Gianni Vattimo)

Dal blog Dashumankapital, di Davide De Palma

Nel prossimo mese di ottobre per la Columbia University Press, sarà pubblicato Hermeneutic Communism: From Heidegger to Marx un interessante libro scritto a quattro mani dal prof. Gianni Vattimo e dal prof. Santiago Zabala. Ho incontrato il prof. Zabala, filosofo, giovane pensatore del mondo… forse questa è le definizione che più mi piace pensando al professore! Nasce nel 1975 vive la sua vita tra Roma, Vienna e Ginevra. Studia filosofia a Torino, consegue il dottorato a Roma presso la Pontificia Università Lateranense. Nel novembre 2007 viene insignito della prestigiosa borsa Humboldt. Attualmente è Professore di ricerca ICREA presso l’università di Barcellona. Mi sia consentito segnalare due volumi del prof. Zabala il primo sempre pubblicato per la Columbia University Press, nell’agosto del 2009, dal titolo The Remains of Being: Hermeneutic Ontology After Metaphysics, e il secondo Consequences of Hermeneutics pubblicato nel 2010 per la Northwestern University Press, libro curato con Jeff Malpas.

Professore, scusi, che cos’è l’ermeneutica?

Per spiegare l’ermeneutica ci vorrebbero dei volumi, dunque, posso solo indicare qualche aspetto importante. Prima di tutto è una filosofia che trova le sue origini già in Platone, dunque, la sua storia si muove assieme alla storia della filosofia dove praticamente tutti i classici hanno detto qualcosa sul significato filosofico dell’interpretazione: Agostino, san Tommaso, Spinoza ecc. Secondo: è una filosofia che si oppone alle descrizioni, ma non solo come l’impossibilità di descrivere i fatti, ma anche come essenza stessa dell’essere umano: siamo interpreti. In questa condizione nozioni come quella della “reltà, verità, o essere” sono sempre il risultato di interpretazioni personali. Esistiamo grazie all’interpretazione dei fatti, senz’altro non grazie ai fatti, se no, anche noi potremo essere dei fatti e descritti come tali. Ma in questa forma esisteremo come oggetti rischiando di cadere dentro “la catena di montaggio” o “l’indifferenza industriale”. Tutto questo si trova ben spiegato nei libri di Vattimo dove Heidegger, Nietzsche e Gadamer sono giustamente considerati i padri dell’ermeneutica contemporanea.

Cosa significa Hermeneutic communism? perchè oggi la vostra visione di un marxismo Antifoundationalist trova ragion d’essere?

“Comunismo ermeneutico” è il titolo del nostro libro che cerca di rinnovare il marxismo attraverso l’ermeneutica. Ma questo rinnovamento non va verso una nuova teoria marxista, al contrario, parte proprio dal suo indebolimento. Oggi il marxismo o meglio ancora, il comunismo, è debole, cioè libero dalle strutture forti che lo reggevano. Proprio questa è la sua forza, cioè la possibilità che abbiamo per praticarlo senza la violenza industriale che ha rovinato la stessa Russia comunista. L’ermeneutica, come filosofia post-metafisica, serve all’marxismo per ricordarsi che non dobbiamo più “descrivere il mondo,ma solo interpretarlo.” Questa massima (ovviamente è una modificazione della famosa tesi di Marx) aiuta a non cadere dentro una politica della verità dove tutti devono seguire delle regole oggettive. L’unico imperativo sono i deboli, cioè il “comunismo ermeneutico” è dalla parte dei deboli, dei poveri, dei marginati delle strutture attuali del lavoro, che non sono altro quelli senza, come dici tu, “ragion d’essere”. Per questo Vattimo dice che “il pensiero debole è il pensiero dei deboli”: non sono altro che i “residui” dell’essere come ho cercato di tradurre ontologicamente nel mio “The Remains of Being”… Proprio questo Essere Deboli non ha forza, cioè governi dalla loro parte, per lo meno in Europa.

Das Humankapital nasce dall’idea di valorizzare le donne e gli uomini che vivono le imprese, crede sia importante incamminarsi verso un nuovo umanesimo del lavoro?

Certo. Lo scarso valore che viene attributo ai lavoratori è il problema. La stessa cosa succede con i cosiddetti “paesi del terzo mondo”. Anche loro sono dimenticati. Per questo nel nostro libro diamo tanto spazio alle democrazie sud-americane: loro sono arrivati a un livello così grande di povertà che hanno iniziato a eleggere governi realmente a favore dei deboli e in certi casi dei veri e propri “metalmeccanici” come Lula. Oggi questi paesi stanno uscendo dalla crisi economica meglio dei paesi Europei e non sono altro che un esempio da seguire per i nostri politici. Come è possibile che loro sono usciti dal FMI, seguendo le indicazioni dei migliori economisti, mentre noi facciamo il possibile per restarci dentro, rovinando i diritti acquisiti?

martedì 12 luglio 2011

Interview with Gianni Vattimo and Santiago Zabala on "Hermeneutic Communism"

Dal sito della Columbia University Press

INTERVIEW WITH GIANNI VATTIMO AND SANTIAGO ZABALA, AUTHORS OF HERMENEUTIC COMMUNISM: FROM HEIDEGGER TO MARX


The following is an interview with Gianni Vattimo and Santiago Zabala, authors of
Hermeneutic Communism: From Heidegger to Marx. The interview took place in January, 2011.


Question: How does one manage to write a book with another author?

Santiago Zabala: It’s all about collaboration. Over the past several years, we have edited five book series for Italian and American publishers and also written several forewords and book reviews; this is not the first time we actually wrote together. Before one of us writes the first draft, we have a long conversation in order to decide the themes of each section. After this first draft is finished, the other checks it through and makes modifications where necessary.

Gianni Vattimo: Although most of the time Santiago wrote the first draft after our talk, there are occasions where I wrote it; either way, it’s very difficult now to recognize which parts each of us originally wrote not only because of the modifications and edits that came afterward but also because we decided together beforehand what each part was to be about. I’m very happy with the whole book, which managed, among other things, to cover many things I was forced to leave out in my Ecce Comu.

Question: In the preface you say that Hermeneutic Communism is really a development of your last books, Ecce Comu and The Remains of Being. Do readers have to go over these books first?

SZ: No, I don’t think they have to (although we hope that people will read them) since Hermeneutic Communism is a systematic text that stands on its own. We make this comment in the preface just to remind everyone how this text, just like any other book, is an effect or a consequence of previous research. Either way, although we started planning this book before Gianni finished Ecce Comu, I will not deny that that book was essential for Hermeneutic Communism.

GV: I hope Hermeneutic Communism will invite people to read Ecce Comu also. After all, they are very different books. Santiago and I wrote a systematic account of the relation between philosophy and politics today; in Ecce Comu, on the other hand, I explain my own faith in a return to communism and the disastrous condition Italian politics finds itself in today. The first edition of Ecce Comu came out in Cuba but was then updated with other chapters for the Italian edition.

Question: Professor Vattimo, you met both Fidel Castro and Hugo Chávez recently?

GV: I met Castro in 2006 after receiving an honorary degree from the Academy of Fine Arts of Cuba. It was a beautiful meeting in his office for over three hours on a Sunday afternoon. We talked about a variety of subjects: the Cuban revolution, Khrushchev, the EU parliament, G. W. Bush, the educational system, and so on. After I wrote about this meeting in La Stampa [an Italian newspaper], I was heavily criticized by the Miami Herald and many EU newspapers. Either way, a few years later I also met Chávez, but this was a public formal meeting on his TV show, Aló Presidente. During the past decades I’ve also met with many other politicians throughout the region and, more importantly, visited many of the social initiatives they’ve brought forward. I must admit when I lectured in Venezuelan universities, most of the students would try to persuade me that Chávez is the worst thing that has happened to them. But I realized that these students all represent Venezuela’s elite upper class, the little percentage that has enough money to send their children to universities. Now Chávez has begun to establish universities for everyone and also social programs (such as “Sucre”) that allow the poorest families to send their children to private universities. Recently, I’ve also traveled to the region with the European Union (I’m now serving my second and last term as an EU deputy) because I’m one of the vice presidents of EUROLAT (Euro-Latin American Parliamentary Assembly, a transnational body of 150 parliamentarians from Europe and Latin America). Last year at the EU Parliament I was one of the few to point out how we are doing business with Colombia, a country that has the worst human rights records of the region, and Honduras, a country now run by the only undemocratic government in the region after the coup of 2009 [http://www.youtube.com/watch?v=ebiVSLxNsBM].

Question: Professor Zabala, do you represent Vattimo’s South American connection?

S. Zabala: I wish! No, actually I’ve only traveled recently through South America. I was raised between Rome, Vienna, and Geneva. I’m actually the incarnation of the EU citizen if there is such a thing. My admiration for contemporary South American politics is strictly philosophical, so to speak: if China’s Communist Party would follow democratic procedures and win actual elections, I would also admire them. Together with Gianni, it is Noam Chomsky who introduced me (through his writing; I’ve never had the honor of meeting Professor Chomsky) to the progressive politics that is taking place in South America now.

Question: Let’s talk about the structure of the book. Among the first things that come to mind looking at the table of contents is the balance among the two parts, four chapters, and twelve sections. Also, although all sections are the same length, chapters 2 and 4 contain many more notes than the other two chapters. Why is this?

GV: The last systematic book I wrote was Il soggetto e la maschera [The Subject and the Mask] (1974). There are various reasons why I stopped taking so much care in explicating my thesis though balanced order and style: perhaps for the same reasons as Derrida, Rorty, and so many other postmetaphysical philosophers, that is, the end of grand narratives, truth, and ideology? I’m glad Santiago persuaded me to follow this structure because it certainly helps the reader, who, in this case, we hope will be not only philosophical but also political.

SV: Those chapters contain many more notes because we needed to justify with documents, articles, and other information some of our theses, for example, how Obama has increased military spending or Chávez has forced the oil industry to finance free health care for the poorest citizens of Venezuela. But if these chapters had to have more notes it’s also because they are the “ontic” sections of the book; that is, while chapters 1 and 3 are philosophical or ontological, chapters 2 and 4 are ontic or political. I’m not saying they could be read independently, but they correspond to each other. While part 1, “Framed Democracy,” is really a deconstruction of the “winners’ history,” that is, of the conservative realist positions of John Searle, Robert Kagan, and Francis Fukuyama, part 2, “Hermeneutic Communism,” outlines (through the work of Jacques Derrida, Richard Rorty, and others) how the “anarchic vein of hermeneutics” points toward a weakened communism.

Question: But aren’t Searle, Kagan, and Fukuyama all defenders of democracy?

SZ: Above all, they are defenders of realism, that is, “the subordination of reason to metaphysical reality,” and Herbert Marcuse declared decades ago that realism would “prepare the way for racist ideology.” This racist ideology is at work today through capitalism’s impositions; inequality, exclusion, famine—economic oppression—have never affected so many human beings. As for Searle, well, he did accept from President G. W. Bush in 2004 the National Humanities Medal for his “efforts to deepen understanding of the human mind, for using his writings to shape modern thought, defend reason and objectivity, and define debate about the nature of artificial intelligence” [http://www.neh.gov/news/archive/20041117.html]. The realism he defends throughout his writings is very dangerous politically because it reduces our possibilities of freedom and change. Searle explained in Freedom and Neurobiology how he considered it a positive factor that G. W. Bush became president in the 2000 election regardless of the “fact” that many American citizens considered he claimed the office illegitimately. The priority of Searle’s, Kagan’s, and Fukuyama’s metaphysical realism is to conserve institutional facts in order to control any alterations. Even though such events as the terrorist attack of 9/11, Obama’s election, and the economic crisis of 2008 are presented to us as alterations, sudden changes, they are actually intensifications of the existing order: 9/11 was a response, unjustifiable of course, to decades of Western military constraints in the Middle East; Obama was always a member of the elite Washington establishment; and the economic crisis was created by the same financial speculations that sustain the capitalist economy. Against this intensification of realism in philosophy and politics we indicate how it is possible to practice politics without truth, how hermeneutics can renew communism, and why South American politics can become a model for our Western democracies’ military, political, and financial logics. I understand this last point might be very difficult for Western intellectuals to recognize, but South American politics might help us improve, too.

Question: Whom is this book for? Is there an ideal reader?

GV: I hope it’s for everyone, although we could distinguish two ideal readers: a Western anti-globalization protester and an analytical philosopher. While the first needs to understand how change is almost impossible through violent revolts within our “framed democracies” (given the force of our establishments), the second should avoid presenting the analytic position as more democratic just because Heidegger (the principal continental philosopher) was a Nazi. If we follow this logic, then we have to also jettison Frege since he was an anti-Semite and Hume since he considered black people inferior to whites. All philosophers make political errors (perhaps we do, too), but such errors are not always part of their philosophical intuitions.

SZ: And don’t forget all those who still think Chávez is a dictator. Section 11 is intended to recall how the Venezuelan president received more democratic support than any EU president. I think this is what induced Oliver Stone to film South of the Border and John Pilger, The War on Democracy. If almost all the world’s media are determined to discredit these South American governments, it is not only because they are communist (although they call themselves socialist), that is, because they put people before profit, but also because they are afraid all citizens will start demanding that their politicians follow the same principles. There are a few journalists, such as Mark Weisbrot, Greg Grandin, Gianni Minà, and Vicenç Navarro who manage to relay what is actually happening over there (in The Guardian, The Nation, and few other liberal newspapers).

GV: Yes, but perhaps it’s more important to emphasize how this is also a book for all those conservative hermeneutic philosophers who still see interpretation only as a variation of phenomenology. We are certain that our good friend the distinguished philosopher Jean Grondin must be appalled by the “progressive hermeneutics” we expose here. But, as many of us believe, hermeneutics is not only Gadamer; there is also Nietzsche, Pareyson, Rorty, and many others. This is the meaning behind the subtitle of the book: From Heidegger to Marx. Today, after metaphysics, we can return to Marx through hermeneutics, that is, a philosophical approach that operates without truth, impositions, and violence, hence a “weakening” of the strong structures of metaphysics, modernity, and ideology. This is why the motto of the book (rephrasing Marx’s famous statement from Theses on Feuerbach) is that “the philosophers have only described the world in various ways; the moment now has arrived to interpret it.” Hermeneutic communism’s greatest enemy, as Santiago just mentioned, is liberal realism, which we expose and criticize in chapter 2. Although none of the progressive Latin American leaders call themselves “communists,” much less “hermeneutic communists,” they are constantly applying communist initiatives (which have been much better at defending their economies from crises than the strategies used by any country in the West) and hermeneutic pluralities (such as the recognition of indigenous rights).

Question: Lots of space is given to slums in relation to the weak. Can you explain where these concepts come from and how they relate to each other?

GV: “Weak thought” does not aim at metaphysical systems and global emancipatory programs but rather at weakening these strong structures. This is why hermeneutics is so important for weak thought. As the philosophy of the interpretative character of truth, hermeneutics becomes the resistance to objective philosophical structures and oppressive political actions. While the dominating classes always work to conserve and leave unquestioned the established order of the world (liberal realism), the weak thought of hermeneutics searches for new goals and ambitions within the possibilities of the “thrown” condition of the human being. This is perhaps what will distinguish our book from other works of political philosophy. Contrary to Alan Badiou, Antonio Negri, and other philosophers who believe politics is founded on scientific or rational grounds, we suggest abandoning truth in favor of interpretation, history, and event. The end of truth is the beginning of democracy. While this might seem pure nihilism to many political scientists who believe truth must guide politics, it is important to recall that at the beginning of the twentieth century Karl Popper, Hannah Arendt, and Theodor Adorno warned us about the imposition of scientific objectivism on all disciplines. If Hermeneutic Communism follows these authors’ alarms against scientific dominion it is not because objectivism is untrue but rather because it is unjust, a lethal attack on freedom and democracy. As Walter Benjamin and Heidegger indicated, “the only emergency is the lack of emergency.”

SZ: Both the “slums” and the “weak” are the “discharge of capitalism” or, as I explained in my previous book, the “remains of Being.” They are what does not belong to framed democracies and the rational development of capitalism. These democracies have been building walls, not just the ones on borders (of Mexico, Israel, India, Afghanistan, Spain) but also, as Mike Davis explains, “epistemological walls,” in order to increase indifference toward the weak. This indifference, similar, on a theoretical level, to analytic philosophy’s attitude toward continental philosophy, is simply a symptom of fear, fear of the possibility of emancipation that these discharges imply. I’m certain this is also the main reason that a group of analytical philosophers led by a known supporter of Searle, attempted (without success) to convince Cambridge University to avoid honoring Derrida.

Question: As with any other book dealing with contemporary politics, aren’t you afraid of the changes that might occur in the next months or years?

SZ: Since we wrote the book there have been some significant changes, such as Dilma Rousseff’s becoming the first female president of Brazil, Colombia’s new president (Juan Manuel Santos) calling for better relations with Venezuela, and also Uruguay and Argentina’s recognition of Palestine as a nation along the 1967 borders (meaning they view the entire West Bank and Gaza Strip, including occupied East Jerusalem, as parts of Palestine). I’m sure there will be many more changes in the region in coming months and years; either way, our book, as with every other political interpretation of the contemporary world, can grapple only with those events that happened before it was written. After all, I think this is the first thing we say in the book: it was written between the reelection of President G. W. Bush in 2004 and President Obama’s decision to increase the soldiers deployed in Afghanistan in 2010.

GV: The intention of our book, though it explores the status of communism, is also to provoke a reflection on the value of democracy as it is practiced in the West. Many readers might consider this stance exaggerated when we endorse Chávez, Morales, and Castro, but I doubt they will disagree with the drastic criticism of the policies of the IMF, the World Bank, and the U.S Treasury, which have all, in one way or another, created and still conserve the economic crisis we are all enmeshed in. Through the work of such distinguished economists as Joseph Stiglitz, Luciano Gallino, and Dean Baker we indicate how the greatest problem of economists in general is that they consider their discipline a scientific one. According to Paul Krugman, it is just this metaphysical belief in the power and rationality of free financial markets that “blinded many if not most economists to the emergence of the biggest financial bubble in history” [http://www.nytimes.com/2009/09/06/magazine/06Economic-t.html]. Both Stiglitz and Baker have endorsed the Bank of the South, which was established with the support of most of the countries in Latin America. Also, it is important to remember these governments are much more advanced than Western framed democracies in ecological matters. In 2009 Morales was declared a “World Hero of Mother Earth” by the United Nations General Assembly because of his political initiatives against the destruction of the environment caused by the global hegemonic economic system.

Question: Are you afraid the book will be read simply as a defense of contemporary South American politics or another version of Marxism?

SZ: Those who consider it a defense of Chávez, Morales, and other Latin American politicians demonstrate that they have not read the book since only a quarter of it is dedicated to them. If other nations would take as much care of the weak as these leaders do, we would endorse them, too, but as it turns out, and Michael Moore demonstrated this in Sicko, it’s easier to get health care in Cuba than in the United States. As for being reduced to another version of Marxism? Well, the more versions there are, the better, of course. The recent reevaluations or reassessments of Marx and communism by Derrida, Žižek, and many others are connected not only to the current crisis of capitalism but also to the possibility of a kind of communism different from the one we saw in the last century. As a 2009 London conference indicated, communism has now become the realm for an emancipatory political project [http://www.versobooks.com/books/513-513-the-idea-of-communism]. Nevertheless, our book is very different from Negri’s or Badiou’s texts, and I doubt it will be associated with theirs. While they continue to use metaphysical notions (empire, multitude, revolution), we insist on the postmetaphysical political project of hermeneutics in order to weaken such notions where necessary. Hermeneutics is as much a part of communism as the other way around; each completes the other’s postmetaphysical goals.

GV: That’s right. The goal is change. Unlike in description, for which reality must be imposed, interpretation instead makes a new contribution to reality. Despite the fact that hermeneutics has been restricted to a simple technique of interpretation, and communism has often been applied to all the domains of society, we have inverted the account in order to emphasize the philosophical essence of hermeneutics and restrict communism to its economic function. As we can see, they both share the project of emancipation from metaphysics that is missing in some of our communist colleagues.


G. Vattimo and S. Zabala, "Hermeneutic Communism"

Hermeneutic Communism:

From Heidegger to Marx


Gianni Vattimo and Santiago Zabala



Having lost much of its political clout and theoretical power, communism no longer represents an appealing alternative to capitalism. In its original Marxist formulation, communism promised an ideal of development, but only through a logic of war, and while a number of reformist governments still promote this ideology, their legitimacy has steadily declined since the fall of the Berlin wall.

Separating communism from its metaphysical foundations, which include an abiding faith in the immutable laws of history and an almost holy conception of the proletariat, Gianni Vattimo and Santiago Zabala recast Marx’s theories at a time when capitalism’s metaphysical moorings—in technology, empire, and industrialization—are buckling. While Michael Hardt and Antonio Negri call for a return of the revolutionary left, Vattimo and Zabala fear this would lead only to more violence and failed political policy. Instead, they adopt an antifoundationalist stance drawn from the hermeneutic thought of Martin Heidegger, Jacques Derrida, and Richard Rorty.

Hermeneutic communism leaves aside the ideal of development and the general call for revolution; it relies on interpretation rather than truth and proves more flexible in different contexts. Hermeneutic communism motivates a resistance to capitalism’s inequalities yet intervenes against violence and authoritarianism by emphasizing the interpretative nature of truth. Paralleling Vattimo and Zabala’s well-known work on the weakening of religion, Hermeneutic Communism realizes the fully transformational, politically effective potential of Marxist thought.

Columbia University Press
October, 2011
Cloth , 256 pages,
ISBN: 978-0-231-15802-2
$27.50
/ £19.00

Reviews

"Hermeneutic Communism is one of those rare books that seamlessly combines postmetaphysical philosophy and political practice, the task of a meticulous ontological interpretation and decisive revolutionary action, the critique of intellectual hegemony and a positive, creative thought. Vattimo and Zabala, unlike Michael Hardt and Antonio Negri, do not offer their readers a readymade political ontology but allow radical politics to germinate from each singular and concrete act of interpretation. This is the most significant event of twenty-first-century philosophy!" — Michael Marder, author of Groundless Existence: The Political Ontology of Carl Schmitt

"Hermeneutic Communism is much more than a beautifully written essay in political philosophy, reaching from ontological premises to concrete political analyses: it provides a coherent communist vision from the standpoint of Heideggerian postmetaphysical hermeneutics. All those who criticize postmodern ‘weak thought’ for its inability to ground radical political practice will have to admit their mistake—Gianni Vattimo and Santiago Zabala demonstrate that weak thought does not mean weak action but is the very resort of strong radical change. This is a book that everyone who thinks about radical politics needs like the air he or she breathes!" — Slavoj Žižek, author of Living in the End of Times

"The authors argue that ‘weak thought,’ or an antifoundational hermeneutics, will allow social movements to avoid both the violence attending past struggles and, if triumphant, a falling back into routines of domination—the restoration of what Jean-Paul Sartre called the ‘practico-inert.’ Vattimo and Zabala end with Latin America as a case study of applied weak thought politics, where the left in recent years has had remarkable success at the polls." — Greg Grandin, New York University

"Those interested in the potential for theoretical reformulations made possible by postfoundational political thought and those following the rebellion of marginal sectors of society have a lot to learn from this remarkable book." — Ernesto Laclau, author of On Populist Reason

"The work of Vattimo and Zabala clears a new stage for political theorizing based on a careful probe of the current state of destitution and hidden edges of social vitality. While I do not always agree with the conclusions drawn by these marvelous writers, I thank them for sparking an essential debate and replenishing our critical vocabularies." — Avital Ronell, New York University and the European Graduate School

Contents


Acknowledgments

Introduction

Part I. Framed Democracy

1. Imposing Descriptions

2. Armed Capitalism

Part II. Hermeneutic Communism

3. Interpretation as Anarchy

4. Hermeneutic Communism

Bibliography

Index


About the Authors


Gianni Vattimo is emeritus professor of philosophy at the University of Turin and a member of the European Parliament. His books with Columbia University Press include A Farewell to Truth; The Responsibility of the Philosopher; Christianity, Truth, and Weakening Faith: A Dialogue (with R. Girard); Not Being God: A Collaborative Autobiography (with P. Paterlini); Art’s Claim to Truth; After the Death of God (with John D. Caputo); Dialogue with Nietzsche; The Future of Religion (with Richard Rorty); Nihilism and Emancipation: Ethics, Politics, and Law; and After Christianity.

Santiago Zabala is ICREA Research Professor at the University of Barcelona. He is the author of The Remains of Being: Hermeneutic Ontology After Metaphysics and The Hermeneutic Nature of Analytic Philosophy: A Study of Ernst Tugendhat; editor of Art’s Claim to Truth, Weakening Philosophy, Nihilism and Emancipation, and The Future of Religion; and coeditor (with Jeff Malpas) of Consequences of Hermeneutics.

lunedì 11 luglio 2011

Un libro per l'estate. Alberto Arbasino, "America amore"

Un libro per l'estate. L'Espresso, 14 luglio 2011

Ricordi
di Gianni Vattimo
La folla solitaria

Non esattamente un libro da spiaggia, l'ultimo di Alberto Arbasino uscito qualche mese fa da Adelphi, "America amore". Non però tanto pesante da non essere portato con sé insieme agli altri parafernalia estivi. E soprattutto di lettura godibilissima, né come un giallo che non riusciamo a interrompere finché finisce e poi si butta ; né come un saggio magari pieno di informazioni curiose, pascalianamente divertenti, ma inessenziali. "America amore" è un libro-epoca. Come altri testi arbasiniani, a cominciare da "Fratelli d'Italia" con i suoi rifacimenti e aggiornamenti; non è una storia, ma la nostra storia. Non solo di chi ha attraversato le stesse epoche, e l'età, dell'autore. Nel bene e nel male, le tematiche della cultura americana che Arbasino incontra negli anni Cinquanta del secolo scorso, quando arriva come studente a Harvard, e continua a frequentare in seguito, sono ancora gli archetipi di gran parte della cultura di oggi.

Proprio in quegli anni comincia a delinearsi la rivoluzione post-moderna della società statunitense, e Arbasino non è così esclusivamente concentrato su letteratura, cinema, teatro, arti da non fornire anche significative riflessioni su quella che un sociologo dell'epoca, David Riesman, chiamò la "folla solitaria" - così tremendamente simile alla folla che siamo noi oggi, come se là ci fosse una profezia che si è avverata. Può sembrare un'esagerazione provocatoria, ma leggendo il libro vengono in mente la "Recherche" di Proust (un modello non poi tanto segreto per tutta la prosa dell'autore) e la "Fenomenologia dello spirito" di Hegel. Soprassalto scandalizzato? Ma là come qui si tratta per l'appunto di noi, di quella storia che ci ha fatti quelli che siamo. Se progettate una lettura estiva di un qualche peso, ma certo molto più piacevole che l'opera di Hegel, e forse anche di Proust, questo è il libro per voi.

Le pagine su Boston e Cape Cod, sulla New York dei teatri off Broadway, sulla West Coast, sono esempi del miglior Arbasino narratore. Dilettevole, e più che utile: sostanziale; ci siamo dentro tutti, niente di meglio che riconoscersi con la guida sapiente e leggera di un (grande) scrittore.

Alberto Arbasino: "America amore" (Adelphi, pp. 867, euro 19)

sabato 9 luglio 2011

Salviamo l'Indice


Salviamo l’Indice
Dal mio blog sul sito de Il Fatto quotidiano, 9 luglio 2011

Ne ha parlato recentemente il Corriere della Sera (ad esempio in questo articolo), e se ne parla su Facebook e vari blog. Aggiungo allora il mio personale appello, qui su Il Fatto quotidiano, sperando di raggiungere altri lettori. Lettori in tutti i sensi: lettori del Fatto e di questo blog, ma soprattutto i lettori – pochi o tanti che siano, nel paese (sempre più stanco) di B. – di quello strano oggetto, il libro, che sembra richiamare, anche se non per derivazione etimologica, il concetto di libertà. “L’Indice dei libri del mese”, storica rivista oggi diretta da Mimmo Candito, fondata nel 1984 da un gruppo di intellettuali in buona parte torinesi (Cesare Cases, Gian Giacomo Migone, Gian Luigi Beccarla, Diego Marconi, Tullio Regge, Marco Revelli, Lore Terracini, solo per citarne alcuni), rischia di scomparire sotto il peso dei debiti accumulati negli anni (e in particolare in quelli più recenti, a causa del sempre più scarso appeal della pubblicità su riviste cartacee e dell’aumento dei costi di produzione, ma anche della selvaggia politica culturale del governo di B., che consente a Tremonti di tagliare a più non posso i finanziamenti all’editoria). Un patrimonio di 37.500 recensioni scritte dalle migliori firme del panorama intellettuale italiano (Bobbio, Magris, Foa, Sanguineti, Galante Garrone, e così via) meriterebbe ben altro destino.

Le pagine di presentazione della rivista che compaiono sul suo sito, così come quella fornita da Wikipedia, sottolineano giustamente l’importante ruolo culturale svolto negli anni dall’Indice, che ha avuto l’indubbio merito di resistere al progressivo svuotamento del mestiere e della funzione sociale del recensore nella società mediatica (e da ultimo, di internet), continuando a proporre saggi di qualità elevata, concepiti con l’intento di fornire un vero e proprio servizio culturale, e con la speranza di contribuire al dibattito politico (nel senso alto del termine) di una società difficile come quella italiana. Già, ma se l’Indice è oggi in difficoltà, non sarà per colpa (merito) dei tanti supplementi culturali dei tanti quotidiani italiani, che offrono ormai gratuitamente un veloce sguardo (rapidissimo, e cioè al passo – settimanale – coi tempi; e, ahimè, spesso pubblicitario, anche perché suggestionato dalle vendite di narrativa e saggistica) sulle novità in libreria? Non sarà per colpa (merito) di internet, che autorizza a cercarsi da sé il libro prescelto, magari avendo spulciato qualche nota di lettura sui blog? Non sarà perché il tono spesso accademico (che però assicura quantomeno l’accuratezza di giudizio) dell’Indice si scontra con una società che dell’accademia non sa che farsene, e anzi tenta di restringerne gli spazi ogni volta che può?

Se (se) l’Indice non serve più, è forse perché non ha mai servito alcuno e alcunché, al punto da rimanere, proprio per questo, un po’ indietro coi tempi: e tuttavia è bello poter leggere una rivista che si occupa di tutti i settori, senza seguire le mode culturali; una rivista i cui numeri durano effettivamente un mese, anziché una settimana, un giorno o un veloce passaggio di occhi sullo schermo; una rivista che, mantenendo uno standard elevato, costringe il lettore a scelte ragionate su ciò che leggerà e a ritornare su ciò che ha letto. Certo, l’adeguamento coi tempi è comunque, in una certa misura, necessario, come riconoscono gli animatori della rivista; e sarebbe però importante concedere all’Indice (più di) una chances di adeguarsi. Personalmente, spero che al mio contributo finanziario e di riflessione se ne aggiungano tanti altri (il sito della rivista spiega come sostenerla). Il tanto auspicato risveglio della società civile nell’era del berlusconismo sguaiato, che della semplificazione culturale ha fatto la sua bandiera, passa anche per iniziative di questo tipo; chi volesse passarle in rassegna, cominci pure dall’Indice.

Gianni Vattimo

Pagine rigeneranti - Le scoperte (e riscoperte) degli esperti

Pagine rigeneranti - Le scoperte (e riscoperte) degli esperti
di Giulia Calligaro, Io donna, 9-15 luglio 2011

Libri rigeneranti: parole giuste che riaccendono la luce anche a chi, per lavoro, si occupa di argomenti "pensanti" e "pesanti". Perché anche gli intellettuali d’estate leggono per rinfrancarsi. Tra intramontabili classici e nuove uscite, ecco i loro suggerimenti.
«Nessun libro è migliore per l’estate della lettura dell’Odissea» dice la grecista Eva Cantarella. «È un grande racconto sull’uomo, in più ci sono il mare e l’avventura. E il finale è lieto, aumenta la fiducia nelle capacità umane». Le fa eco Teresa Cremisi, presidente e direttore dell’editore transalpino Flammarion: «Consiglio l’Iliade» spiega. «Ci sono tutti i grandi temi dell’Occidente: l’amore, la bellezza, la guerra, ma soprattutto il destino e i suoi capricci. Nessuno spazio per il rimorso e per la nostalgia».
La filosofa Michela Marzano, attenta agli studi sulla donna, ci riporta all’attualità: «Il mio consiglio va a Un karma pesantedi Daria Bignardi (Mondadori), perché è un libro ricco di speranza per tutte le donne che non vogliono fermarsi alla sopravvivenza e cercano una vita appagante senza rinunciare al privato».
Propone riflessioni sul nostro tempo un altro pensatore, Gianni Vattimo: «Consiglierei Tramonto globale di Daniele Zolo (Firenze Univ. Press)». E prosegue con arguzia e ironia: «Non è un libro da spiaggia, ma serve anche per suscitare ammirazione presso i vicini di ombrellone. Soprattutto, essendo una specie di panorama delle ingiustizie e dei mali del mondo attuale, mantiene chi sta in vacanza in collegamento con la realtà. In autunno potreste trovarvi ad assaltare un qualche Palazzo d’Inverno».
L’antropologo e architetto Franco La Cecla punta invece sulla conciliazione: «Andrei su Il piacere non può aspettare di Tishani Doshi (Feltrinelli), sull’amore tra una ragazza del Galles e un indiano: una storia di incontro tra culture, con una saggezza profonda».
L’attore performer Moni Ovadia suggerisce una lettura che ci faccia bene inducendo al bene: Se niente importadi Jonathan Safran Foer (Guanda) è un libro necessario» sostiene. «Un affresco della crudeltà e della follia dell’umanità contro gli animali. Non è un mero inno all’essere vegetariani, ma una voce contro il consumismo che divora, a tavola prima e poi nei rapporti umani e tra i popoli».
Infine Filippo La Porta, critico letterario, allarga la gittata: «La grande letteratura sempre consola, perché, pur criticando l’esistente, ci dà delle ragioni di vita. Ora proporrei l’autobiografia di Ettore Sottsass, grande designer contemporaneo: Scritto di notte (Adelphi). È un manifesto del pensiero non-violento, mai appesantito da un Io ingombrante. E infatti Sottsass simpatizza con alcuni temi buddisti e ci racconta quando scoprì che non era lui l’universo, «Che eravamo in due» scrive «io e l’universo, e poi che eravamo in tre… cioè io, l’universo e tutta la gente intorno a me». Non male come conquista per l’estate e per arrivare più disponibili all’autunno!

Testodell'intervento sulla Tav in seduta plenaria al Parlamento europeo, 4 luglio

Ecco il testo del mio intervento sulla Tav in seduta plenaria al Parlamento europeo (Strasburgo, 4 luglio 2011).

Gianni Vattimo (ALDE ). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, intendo parlare della ferrovia ad alta velocità Torino-Lione, per la quale l'Unione europea sta per erogare un contributo di 672 milioni di euro.

Questo contributo era legato ad alcune condizioni. Primo: consultazione e accordo delle comunità locali, che invece non sono mai state ascoltate sulla sostanza del problema, e anzi da ultimo represse con una vera e propria militarizzazione della Val di Susa, che è la zona di questo traforo.

Secondo: rispetto di alcuni termini temporali per l'inizio dei lavori, termini che sono stati invece varie volte ritardati arbitrariamente. A tutt'oggi i soli lavori effettuati nella zona sono stati una recinzione fortificata dove stanno i 900 agenti che devono controllare e tenere lontani i cittadini. In queste condizioni, largamente illegali, per l'Unione europea erogare il previsto contributo significherebbe solo cedere a una truffa perpetrata dal governo italiano e dal governo regionale del Piemonte oltre che dalle lobby che pesantemente li condizionano. "Achtung! Banditi! Achtung!".

giovedì 7 luglio 2011

Lacrimogeni sulla folla, potevi solo scappare


Lacrimogeni sulla folla, potevi solo scappare
Gianni Vattimo, Il Manifesto, 6 luglio 2011

Continua la mistificazione mediatico-politica del movimento No Tav. Chi è stato domenica a Chiomonte ha potuto udire fin dalle ore centrali del mattino, quando non c'era ombra di aggressione al fortino della polizia, gli scoppi dei lacrimogeni che venivano lanciati a livello della strada contro gruppi di pacifiche famiglie con bambini che sostavano - certo «manifestavano» - pacificamente sul ponte accanto alla centrale elettrica della Maddalena. Io stesso, qualificandomi con la Polizia come deputato europeo, ho cercato di avvicinarmi alle forze dell'ordine per tentare di avviare una mediazione. Ho dovuto fuggire con tutti gli altri respinto dai lacrimogeni. Non ho visto nulla che sembrasse un attacco alle forze dell'ordine; parlerei piuttosto di una deliberata volontà di interrompere una pacifica manifestazione, che pacifica era rimasta fino al momento in cui si è deciso di scatenare un bombardamento di lacrimogeni. Del resto, la giornata di domenica ricalca perfettamente lo schema dei giorni precedenti.

Un gran numero di cittadini della Valle, con altri oppositori democratici della Tav, hanno cercato di far sentire le proprie ragioni; i famosi tavoli di concertazione e il famigeratissimo Osservatorio non hanno mai voluto discutere di queste ragioni; hanno escluso - violando leggi e accordi - tutti i rappresentanti della Valle che volevano discutere la sostanza delle cose, e che non si adattavano solo a chiacchierare sul come realizzare l'opera decisa sulle loro teste. Opera decisa si dice (lo dice da ultimo anche Bersani, Dio lo perdoni) con tutte le procedure democratiche (salvo il consenso informato delle comunità locali, e il rispetto di svariate altre clausole di accordi sottoscritti, con termini di scadenza sempre arbitrariamente spostati). A un certo punto, la settimana scorsa, unicamente per non perdere il contributo europeo (che avrebbe già dovuto essere cancellato per tutte le violazioni precedenti), il pacifico presidio dei cittadini alla Maddalena viene fatto sloggiare (2000 agenti) e la zona occupata militarmente (si dice 600 agenti). La resistenza pacifica dei cittadini presidianti fatti sloggiare viene dipinta come un attacco alle forze dell'ordine che, ovviamente, si devono difendere. Sui costi di tutta l'operazione i media stendono un velo pietoso, mentre il governo taglia le pensioni, la sanità, la scuola, i trasporti locali.

Domenica stesso copione. I cittadini della Val di Susa hanno inteso manifestare per farsi ascoltare, ma la risposta è stata quella militare già collaudata lunedì passato: lacrimogeni in abbondanza, denuncia del vile attacco dei black bloc, ecc... Forze politiche - si fa per dire - scatenate a difesa della legalità repubblicana, minacciata dalla resistenza di piccoli gruppi di facinorosi (cioè l'intera Val di Susa). Non è una faccenda che riguardi la sola Val di Susa, ormai; è l'emblema di come, con la connivenza più o meno esplicita di quella che dovrebbe essere l'opposizione, una classe di governo piena di collusioni mafiose, con l'approvazione di un Parlamento dove i voti decisivi vengono palesemente comprati, vuol realizzare un'opera della cui utilità non ha mai voluto discutere, trincerandosi dietro chiacchiere retoriche sul progresso e il minacciato isolamento del Piemonte. Chi ha visto domenica il traffico delle Valli di Susa e Chisone, bloccato per ore dalla chiusura dell'autostrada del Frejus e dalle code di auto che cercavano di avvicinarsi a Torino, ha ragione di domandarsi quante settimane potrà durare il cantiere aperto per finta in questi giorni, che si è limitato ad alzare barriere militari a difesa di un lavoro fatalmente destinato a risolversi in uno spreco di denaro europeo (anche nostro però), in uno scempio ambientale e di salute (l'amianto chi lo inghiottirà?) e nel sempre più pericoloso discredito della nostra democrazia.

martedì 5 luglio 2011

Tav: Interventi di Gianni Vattimo e Sonia Alfano in seduta plenaria al Parlamento europeo



Tav: Alfano e Vattimo (IDV), striscione No Tav a Strasburgo

(ANSA) - STRASBURGO, 5 LUG - Sonia Alfano e Gianni Vattimo, eurodeputati del Idv, hanno portato lunedi' notte la battaglia contro la Torino-Lione fin dentro la sala plenaria del Parlamento europeo. Alzando uno striscione No Tav, i due eurodeputati sono intervenuti per denunciare, parole di Alfano, ''l'assurdo progetto di costruire la Torino-Lione'' e per condannare ''ogni forma di violenza, sia la violenza dei facinorosi infiltrati che la violenza dei deputati e ministri italiani che hanno voluto assimilare il pacifico popolo No Tav ai black bloc''.

''Tutti sanno - ha incalzato Alfano - che la Tav in Val di Susa non si fara' mai: e' possibile militarizzare un territorio per 20 anni?''. Secondo l'eurodeputata del Idv, la situazione attuale e' figlia di opere non concepite ''con e per i cittadini'' ma per ''i comitati di affari partitici di destra e di sinistra''.

Quanto al nodo degli aiuti comunitari, entrambi gli esponenti del partito di Di Pietro chiedono alla Commissione di ritirare ''il contributo di 662 milioni di euro''. In aula, Vattimo ha ricordato le condizioni legate all'erogazione dei fondi europei, la ''consultazione e accordo delle comunita' locali'', che e' mancata, e il ''rispetto di alcuni termini temporali per l'inizio dei lavori, varie volte ritardati arbitrariamente''.

Oltre a chiedere il ritiro dei contributi, Alfano ha invitato la Commissione petizioni del Parlamento Ue ''ad inviare una delegazione in Val di Susa per verificare sul terreno cosa sta succedendo''. (ANSA).

Show di Vattimo a Strasburgo, striscione no Tav al Parlamento

Show di Vattimo a Strasburgo, striscione no Tav al Parlamento

Il filosofo insieme con l'altro europarlamentare Idv Sonia Alfano si è presentato all'Europarlamento con uno striscione no Tav fin dentro la sala plenaria. Poi ha chiesto alla Ue di non finanziare l'opera

La Repubblica, 5 luglio 2011

Sonia Alfano e Gianni Vattimo, eurodeputati del Idv, hanno portato lunedì notte la battaglia contro la Torino-Lione fin dentro la sala plenaria del Parlamento europeo. Alzando uno striscione No Tav, i due eurodeputati sono intervenuti per denunciare, parole di Alfano, "l'assurdo progetto di costruire la Torino-Lione" e per condannare "ogni forma di violenza, sia la violenza dei facinorosi infiltrati che la violenza dei deputati e ministri italiani che hanno voluto assimilare il pacifico popolo No Tav ai black bloc".
"Tutti sanno - ha incalzato Alfano - che la Tav in Val di Susa non si farà mai: è possibile militarizzare un territorio per 20 anni?". Secondo l'eurodeputata del Idv, la situazione attuale è figlia di opere non concepite "con e per i cittadini" ma per "i comitati di affari partitici di destra e di sinistra".
Quanto al nodo degli aiuti comunitari, entrambi gli esponenti del partito di Di Pietro chiedono alla Commissione di ritirare "il contributo di 662 milioni di euro". In aula, Vattimo ha ricordato le condizioni legate all'erogazione dei fondi europei, la "consultazione e accordo delle comunità locali", che è mancata, e il "rispetto di alcuni termini temporali per l'inizio dei lavori, varie volte ritardati arbitrariamente".
Oltre a chiedere il ritiro dei contributi, Alfano ha invitato la Commissione petizioni del Parlamento Ue "ad inviare una delegazione in Val di Susa per verificare sul terreno cosa sta succedendo".

Scontri in Val Susa: un solo black bloc: il ministro Maroni

Scontri in Val Susa: un solo black bloc: il ministro Maroni

Andrea Colombo, Gli Altri online, 3 luglio 2011

Decine di farneticazioni, pardon “sdegnate dichiarazioni” dei politici italiani di destra, sinistra e centro contro i violenti della val di Susa”, e una sola, una e non più di una, davvero sensata. E’ di Gianni Vattimo: onore al merito.

Cosa dice l’ex profeta del pensiero debole? Che i black bloc non esistono, sono un’invenzione della polizia. Ha ragione da vendere, anzi da regalare. Era così a Genova, è così dieci anni dopo. L’invenzione, però, torna comoda non solo alle “forze dell’ordine” ma anche a tutti quei politicanti d’accatto, piddini in testa, che usano i fantasmi in nero come alibi per evitare di fare i conti con la verità.

La quale, in val di Susa come nel 2001 a Genova, è esattamente quella descritta da Vattimo: “C’erano solo giovani arrabbiati che sono stati provocati dal lancio di lacrimogeni”. In fondo, se oggi nessuno nega che a Genova ci fu provocazione è solo perché i tutori dell’orine esagerarono un tantinello alla Diaz e a Bolzaneto. Si fossero tenuti e sarebbe passata la bugiardissima versione ufficiale. Quella, per dirla di nuovo col filosofo torinese, “truccata e maledetta dai media di regime”.

Ce ne vuole di coraggio per lanciare migliaia e migliaia i poliziotti in assetto di guerra contro il presidio con l’obiettivo dichiarato di “espugnarlo” e poi strillare contro i violenti se gli espugnati non ci stanno!

E tuttavia vallo a trovare un leader politico degno che, anche a sinistra, abbia il coraggio di dire forte e chiaro che la responsabilità di quello che è successo oggi a Chiomonte è di un solo ed unico black bloc: il ministro Maroni. Lui sì che andrebbe isolato. Al contrario di quel che fanno tutti quelli che se la prendono con “i violenti” e glissano sulla maxi fregatura corredata da botte e soprusi regalata da governo e opposizione agli abitanti della val di Susa.