venerdì 29 aprile 2011

Appello della società civile per Luigi de Magistris sindaco di Napoli

“Contro la destra, per una politica nuova”. Appello della società civile per Luigi de Magistris sindaco di Napoli

La battaglia per affermare una nuova politica e una nuova cultura amministrativa a Napoli ha un assoluto rilievo nazionale. Sotto gli occhi dell’opinione pubblica italiana e internazionale, infatti, Napoli sta vivendo in questi anni una gravissima emergenza politica, sociale, economica, ambientale e culturale.

Ma Napoli non è soltanto la terza città d’Italia, è anche la capitale del Mezzogiorno, di quella parte d’Italia abbandonata a sé stessa e cancellata dalle priorità nazionali nell’ultimo quindicennio di confuse riforme istituzionali e di falso federalismo. I tagli dei trasferimenti e la compressione degli investimenti per il Mezzogiorno, le tante promesse tradite, come la soluzione dell’emergenza rifiuti, svelano l’abisso in cui è caduto il governo Berlusconi, caratterizzato dalla propaganda leghista sulla “questione settentrionale”.

È urgente battersi contro questa politica. Non solo per ribadire i fondamentali principi di uguaglianza nei diritti di cittadinanza sull’intero territorio nazionale stabiliti dalla Costituzione, ma anche perché non potrà esserci un reale sviluppo del Paese senza un rilancio del Mezzogiorno. Questa battaglia non può che partire da Napoli. Il Paese ha bisogno di una nuova politica nazionale per Napoli e la Città ha bisogno di una nuova stagione amministrativa per ispirare quella politica. Per questo è necessario impedire che la destra conquisti il governo della Città.

Tuttavia, battere la destra è necessario ma non sufficiente. Nell’ultimo decennio, infatti, le forze del governo locale hanno raccolto istanze che nulla hanno a che vedere con una prospettiva riformistica. Da visione pragmatica, il riformismo si è trasformato in una mera copertura ideologica per nascondere la reale impotenza nell’interpretare i cambiamenti della società e proporre risposte adeguate. Ora occorre che le forze progressiste e democratiche napoletane mettano in campo una profonda innovazione nei programmi, nei metodi di governo e nella cultura amministrativa.

Serve una svolta nella direzione del rigore e della efficienza, della lotta alle clientele, della difesa degli assets pubblici contro le privatizzazioni selvagge, per il rispetto del piano regolatore e il rilancio di una programmazione industriale finalizzata allo sviluppo sostenibile e alla difesa della buona occupazione, per l’energia pulita e contro il ricorso al nucleare, contro gli inceneritori, per la dignità delle periferie, per l’acqua pubblica e la difesa dei ceti deboli minacciati dalla crisi.

Ebbene, noi riteniamo che la candidatura di Luigi de Magistris sia quella maggiormente in grado di ridare voce autorevole ai napoletani nel Paese e impedire la vittoria delle destre in Città. Per queste ragioni, invitiamo tutte e tutti a sostenere la candidatura di Luigi de Magistris sindaco per Napoli.

Primi firmatari:

Dario Fo (premio Nobel per la letteratura) Daniel Cohn-Bendit (ecologista leader del maggio francese) Giorgio Cremaschi (presidente della Fiom) Paolo Flores D'Arcais (filosofo direttore di Micromega) Luciano Gallino (sociologo Università di Torino) don Andrea Gallo (sacerdote) Ferdinando Imposimato (magistrato) Gerardo Marotta (presidente dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici) Citto Maselli (regista) Giorgio Parisi (fisico National Academy of Sciences) Franca Rame (attrice e drammaturga) Ermanno Rea (scrittore) Riccardo Realfonzo (economista Università del Sannio) Paolo Rossi (attore e regista) Gianni Vattimo (filosofo Università di Torino) Dario Vergassola (attore) Enzo Albano (presidente del Tribunale di Torre Annunziata) Nerino Allocati (avvocato lavorista) Andrea Amendola (segretario generale Fiom Napoli-Campania) Vincenzo Argentato (Fiom Napoli) Gianluca Attanasio (campione italiano di nuoto paralimpico) Enzo Avitabile (cantante e compositore) Davide Barba (giurista Università del Molise) Oliviero Beha (giornalista) Rosario Boenzi (architetto) Gianfranco Borrelli (filosofo Università di Napoli "Federico II") Salvatore Borsellino (Movimento delle Agende Rosse) Massimo Brancato (coordinatore nazionale Fiom Mezzogiorno) Alberto Burgio (filosofo Università di Bologna) Antonio Casagrande (attore regista) Sergio Caserta (Associazione per il Rinnovamento della Sinistra) Dario Castaldi (Rsu Fiom Alenia Capodichino) Salvatore Cavallo (Rsu Fiom Ansaldo Trasporti) Domenico Ciruzzi (avvocato penalista) Giancarlo Cosenza (urbanista) Ciro Costabile (produttore artistico) Lilia Costabile (economista Università "Federico II" di Napoli) Ettore Cucari (presidente della Federazione Imprese Viaggi e Turismo) Wanda d'Alessio (giurista Università "Federico II" di Napoli) Riccardo Dalisi (architetto artista) Rosaria De Cicco (attrice) Michele Della Morte (costituzionalista Università del Molise) Giancarlo de Vivo (economista, Università "Federico II" di Napoli) Antonio Di Luca (operaio FIAT Pomigliano) don Vitaliano Della Sala (parroco della Chiesa madre di Mercogliano) Marinella de Nigris (avvocato) Francesco De Notaris (Assise della città di Napoli e del Mezzogiorno d'Italia) Antonella Di Nocera (produttice presidenza nazionale Arci-Ucca) Luciano Ferrara (fotografo) Gigi De Falco (presidente Italia Nostra Campania) Lucia di Pace (linguista Università di Napoli "l'Orientale") Guido Donatone (presidente Italia Nostra sez. "A. Iannello") Eugenio Donise (Associazione per il Rinnovamento della Sinistra) Nino Ferraiuolo (Associazione per il Rinnovamento della Sinistra) Paola Giros (Presidente direttivo Fiom Napoli) Enzo Gragnaniello (cantante e compositore) Giovanni Impastato (Centro Documentazione Antimafia Peppino Impastato) Bruno Jossa (economista Università di Napoli "Federico II") Peppe Lanzetta (attore e scrittore) Lucio Leombruno (avvocato) Ugo Marani (economista presidente Ires-Cgil Campania) Sergio Marotta (giurista Università Suor Orsola Benincasa di Napoli) Maurizio Mascoli (Fiom Campania) Claudio Massari (ispettore editoriale) Loris Mazzetti (giornalista scrittore) Emilio Molinari (Contratto mondiale sull'acqua) Andrea Morniroli (operatore sociale) Salvatore Morra (Rsu Fiom Whirlpool) Enzo Morreale (Comitato Civico di San Giovanni a Teduccio) Walter Palmieri (storico CNR-Istituto di Studi sulle Società del Mediterraneo) Rosario Patalano (economista Università "Federico II" di Napoli) Francesco Percuoco (Rsu Fiom FIAT Pomigliano) Ciro Pesacane (forum ambientalista) Marco Pezzella (filosofo Scuola Normale Superiore di Pisa) Raffaele Porta (biochimico Università "Federico II" di Napoli) Giuliana Quattromini (avvocato lavorista) Giulio Raio (filosofo Università di Napoli l'Orientale) Carla Ravaioli (saggista ambientalista) Diego Risi (Rsu Fiom IBM Napoli) Giorgio Salerno (direttore Istituti di Cultura italiani all'estero) Tommaso Sinigallia (direttore libreria Ubik) Massimo Squillante (matematico Università del Sannio) Carlo Starace (imprenditore) Salvatore Vitagliano (artista).

mercoledì 27 aprile 2011

Santíssima Páscoa e beata TV. Entrevista com Gianni Vattimo

Santíssima Páscoa e beata TV. Entrevista com Gianni Vattimo

Istituto Humanitas Unisinos

Do ecumenismo um pouco reacionário do Papa Wojtyla ao pós-modernismo de Joseph Ratzinger, o Papa teólogo que aparece ao vivo no canal italiano Rai Uno e que fala com os astronautas em órbita na astronave Shuttle. Conversamos a respeito com Gianni Vattimo, antes da transmissão do programa com Bento XVI.

A reportagem é de Iaia Vantaggiato, publicada no jornal Il Manifesto, 22-04-2011. A tradução é de Moisés Sbardelotto.

Filósofo e político italiano, Vattimo é conhecido como o mentor da filosofia do "pensamento fraco". Escreveu inúmeras obras, das quais destacamos Acreditar em acreditar (Lisboa: Relógio D’Água, 1998) e Depois da cristandade. Por um cristianismo não religioso (São Paulo: Record, 2004).

Eis a entrevista.

Está pronto para a transmissão ao vivo? O Papa vai ao ar às 14h10, mas não sabemos se antes ou depois das propagandas.

Ao vivo até certo ponto. Porém, eu estou prevenido, porque não arrisco a levar a sério esse Papa. Ou melhor, dizendo a verdade, o levo muito a sério. Não gosto do modo que ele tem para gerir a sua "papalidade", a sua "papagem". Além disso, não sei nem se conseguiria opor-lhe um outro.

João XXIII, essa é fácil.

Certo. Se penso a respeito, o único que me agradava verdadeiramente era justamente João XXIII.

Wojtyla não?

Humanamente simpático, mas também um grande reacionário. Desmontou o Concílio Vaticano II e destruiu a teologia da libertação. E Ratzinger sempre foi a sua alma obscura.

E a alma obscura hoje aporta na TV. Nem um pouco de emoção ou pelo menos de estupor?

Poderia estar contente se o Papa respondesse às perguntas dos fiéis diretamente. Mas isso não acontece e, então, que não se finja. É como quando ele queria ir à Universidade de Roma para falar com os acadêmicos. Uma pena que ele chegava em liteira e não permitia que ninguém falasse. Dizia as suas coisas, isso sim, coisas também razoáveis, mas não "discutíveis". Era a mesma coisa que dizê-las no Vaticano, sem se incomodar indo até a universidade.

A questão é que hoje o pontífice não vai à universidade, mas à televisão. É diferente, não?

Certamente. Aqui há o espetáculo, a utilização de tecnologias e também o fato de que, em maio, ele irá falar com os astronautas. Mas há algum outro chefe de religião, sei lá, algum pároco que faça isso?

Digamos assim: há um Papa teólogo que abre à ciências as cancelas do Vaticano e se põe em contato com a Shuttle.

Eu acredito que o que mais chama a atenção não é que o Papa fale com os astronautas, senão, sempre é possível evocar Khrushchev quando dizia que Gagarin havia ido ao céu, não havia encontrado deus e, portanto, deus não existia.

Khrushchev à parte, já vimos muitas vezes pontífices na televisão, mas um Papa que vai até "ao vivo" chama um pouco mais a atenção.

Certamente chama a atenção, porque o uso desses instrumentos implica em uma aceitação do sistema de poder que está por trás da ciência e da tecnologia. Jamais imaginaria Jesus Cristo assim, "ao vivo" na Rai Uno.

No fundo, se poderia ler isso como uma missão evangélica.

Não definiria como evangélica a missão de quem vai por aí convertendo as pessoas. Preferiria deixar cada um na sua fé. Mas depois utilizar até os instrumentos que os poderosos da terra usam... A meu ver, isso não cabe nem ao Dalai Lama. Muitos pontífices viajaram nas últimas décadas e o fizeram sempre com espírito "missionário". Aquele mesmo espírito missionário que guiava as obras dos Conquistadores.

Enfim, o senhor aboliria as "missões" ao exterior e, nesse caso específico, também ao espaço.

Os pontífices não viajam a pé, viajam com a Alitalia. E por que não a pé? Por quê? O Papa quem é? É um soberano terreno. É um poderoso. Como faria para falar com os astronautas, por outro lado, se fosse um pobre evangélico?

Uma semana de paixão. Também para os palimpsestos televisivos.

Sim, e na Itália tudo acaba se tornando um pouco entediante. Até a Semana Santa que, nos telejornais, é dada como segundo ou até primeira notícia. Mas quem pode acreditar em uma religião tão envolvida nos sistemas de poder?

O senhor pensa em uma transmissão blindada?

A transmissão é blindada, e o Papa está embedded [embutido].

Como Berlusconi quando vai de Vespa? Comparação pesada e blasfema.

Se Ratzinger usa os mesmos meios de Berlusconi, ele é atingido pela mesma suspeita de mentira.

Os meios podem ser os mesmos, mas os fins não.

Desde quando as pessoas participam pouco das greves? Desde quando elas são anunciadas pela televisão. Se a televisão o diz, já basta. Faz parte da ritualidade social.

Mas também uma modalidade de participação diferente.

Até que ponto pode se falar de religião senão tu-a-tu ou em pequenas comunidades?

Chegamos ao Papa na época de sua reprodutibilidade técnica?

O Papa na época da sua reprodutibilidade técnica e a Igreja na época da comunicação generalizada ainda têm sentido. McLuhan havia dito que o meio é a mensagem, o meio condiciona muito profundamente a mensagem. O Papa que dá a benção urbi et orbi, a missa na televisão no domingo não tem o mesmo valor de cumprir um preceito. Certamente, a benção é um espetáculo, mas não posso me sentir abençoado pelo Papa porque falta algum sentido de proximidade.

Ama o teu "próximo"?

Amar o próximo é amar o próximo. Se depois tu amas todos, praticamente não amas ninguém.

O sofrimento será o tema da transmissão.

Quando o Papa fala do sofrimento como valor, é como se falasse das indulgências, aquelas que os Papas do Renascimento colocavam à venda. O sofrimento jamais foi um mérito para ninguém, no máximo é uma prova moral. E esse discurso sobre o sofrimento também é uma pretensão de autoridade. Porque nós não dispomos desse patrimônio de méritos sobrenaturais – o sofrimento, justamente. É o Papa que dele dispõe.

martedì 26 aprile 2011

Risposta a Giovanardi su Ikea, famiglia e costituzione

Giovanardi: Su Ikea contro di me manganellatori verbali

Roma, 24 apr. (TMNews) – “Ai vari Merlo che usano l'insulto come arma polemica nella migliore tradizione dei manganellatori verbali fascisti, osservo che ho giurato fedeltà alla Repubblica e di osservare lealmente la Costituzione, come ho spiegato dieci giorni fa a Klaus Davi che mi ha chiesto una opinione sui manifesti dell'Ikea”. Carlo Giovanardi, sottosegretario alla Presidenza del consiglio dei ministri, torna con una nota sulle polemiche nate dalle sue critiche alle pubblicità che recano l'immagine di una coppia gay ('Siamo aperti a tutte le famiglie').

“Il rispetto per ogni forma di orientamento sessuale e di solidarietà per tutti coloro che sono oggetto di violenza fisica o verbale – si legge nella nota – è cosa ben diversa dalla difesa di un principio cardine del nostro ordinamento che lobby potenti vogliono azzerare parificando la famiglia della Costituzione a qualsiasi forma di convivenza, come Gianni Vattimo onestamente rivendica su Repubblica”.

La risposta di Vattimo

Grazie all'on. Giovanardi per avermi riconosciuto l’onestà: effettivamente mi sembra ovvio (e confermato anche da gente più esperta di me) che i padri costituenti pensassero alla famiglia nei termini del lessico dell'epoca (lo stesso per il quale, come si leggeva nei riti religiosi e civili del matrimonio, il marito è il capo della famiglia...). Ciò non esclude che la Costituzione possa essere letta anche alla luce di costumi che nel frattempo si sono evoluti: chiamare famiglia anche le unioni omosessuali sarebbe solo un modo di tener conto di come questi costumi si sono trasformati. Perché non farlo? Giovanardi è partigiano del cosiddetto “diritto naturale” in cui crede, o finge di credere, ormai solo la Chiesa Cattolica, che in tal modo ritiene di poter obbligare tutti, anche i non credenti, alle proprie norme (se sei umano, devi pensare come il papa sul matrimonio, la contraccezione, ecc.). Chiamare famiglie anche quelle non fondate sul matrimonio come la Chiesa non vuole, non viola nessun diritto sancito dalla Costituzione; non è vero che così facendo si reca danno alle famiglie “vere”, come sempre la Chiesa vuol far credere. Gli operai dell’ultima ora, caro cattolico Giovanardi, ricevono legittimamente lo stesso salario degli altri..

Ma ciò che, “onestamente”, non avevo detto a La Repubblica, e avrei dovuto dire, è che una difesa della famiglia che viene da un esponente della maggioranza di governo, dunque da un difensore della mignottocrazia berlusconiana, farebbe ridere se non fosse un sintomo della tragicità della situazione italiana. E non dica Giovanardi che la mania puttanesca di uno come Berlusconi è un puro accidente, un affare privato del medesimo, che non mette in discussione la sacralità della famiglia eterosessuale e monogamica. Prostituzione, ipocrisia, prossenetismo, giù giù fino alla pedofilia (di parte) del clero (ma non era pedofilia anche quella di cui è stata vittima, più o meno innocente, Ruby?) sono chiaramente collegate alla repressione sessuale, e sociale (per i ricchi le puttane si chiamano escort), che impera ancora nell'Italia ufficiale, di Giovanardi appunto. E infine, una bella legge contro l'omofobia sarebbe davvero contro la Costituzione che Giovanardi dice di voler difendere? Ma sostenerla sarebbe per lui una questione di chiaro conflitto di interessi…

Gianni Vattimo, 26 aprile 2011

domenica 24 aprile 2011

“Governo asservito al Vaticano e l'Europa è sempre più lontana”

“Governo asservito al Vaticano e l'Europa è sempre più lontana”

di Paola Coppola, La Repubblica, 24 aprile 2011

Gianni Vattimo: a caccia di una manciata di voti. Il problema è che in Italia manca una legge anti omofobia, che punisca severamente questi atteggiamenti odiosi. Andrebbe approvata urgentemente

ROMA - «È una polemica pretestuosa, che punta a guadagnare una manciata di voti nel mondo cattolico. L’ennesimo affondo di un governo che pretende di definire le cose come meglio crede e che sul fronte dei diritti civili è rimasto indietro rispetto all’Europa».

Il filosofo Gianni Vattimo, dichiaratamente omosessuale, non ci sta all’intemerata contro lo spot Ikea che ritrae una coppia gay da parte del sottosegretario alla Famiglia, Carlo Giovanardi.

«È un attacco che fa appello a un’antropologia biblica - replica - che non rispecchia il concetto reale di famiglia nelle sue diverse accezioni e che è più arretrato anche di certe posizioni di parte del mondo cattolico».

Giovanardi legge lo spot che recita “Siamo aperti a tutte le famiglie” come un attacco alla Costituzione: che ne pensa?

«Sulla definizione di famiglia il dibattito è aperto. E la stessa Costituzione la definisce come “società naturale fondata sul matrimonio” ma non specifica che si tratta di quello tra uomo e donna. Se i padri costituenti pensavano alla famiglia tradizionale, oggi quel concetto andrebbe rivisto».

A due giorni dall’aggressione alla deputata Pd, Paola Concia e alla sua compagna, a due passi da Montecitorio, finisce nel mirino lo spot di una coppia mano nella mano...

«Il problema è che in Italia manca una legge contro l’omofobia che punisca severamente questi reati odiosi. Esiste una legge che punisce le offese razziste, ma non un provvedimento in grado di fermare la deriva di insulti contro i gay, che andrebbe urgentemente approvato».

Giusto dunque inserire nella pubblicità del colosso svedese anche la famiglia formata da due persone dello stesso sesso?

«Sì, lo spot intercetta una fetta di mercato feconda, perché disposta a spendere: così “l’antropologia ikeica” dimostra di essere più avanti di un paese asservito al Vaticano».

venerdì 22 aprile 2011

Santissima Pasqua e benedetta tv

Santissima Pasqua e benedetta tv
Il Manifesto, 14 aprile 2011. Di Iaia Vantaggiato

Per la prima volta nella storia della Chiesa e del piccolo schermo, il papa risponderà ai fedeli in un programma televisivo. Un’inedita strategia comunicativa ma anche di potere. Gianni Vattimo: «È un potente come gli altri. Io Gesù Cristo in tv non me lo immaginerei mai. Ma il papa è un sovrano, non un missionario» Il pontefice postmoderno abbandona la teologia e sfonda gli schermi. In attesa di approdare nello spazio

Dall’ecumenismo un po’ reazionario di papa Wojtyla al postmodernismo di Joseph Ratzinger, il papa teologo che va in diretta su Rai Uno e parla con gli astronauti in orbita sullo Shuttle. Ne parliamo con Gianni Vattimo.
E’ pronto per la diretta? Il papa va in onda alle 14,10 ma non sappiamo se prima o dopo lo stacco pubblicitario.
Diretta sino a un certo punto. E comunque io sono prevenuto perché non riesco a prendere sul serio questo papa. Anzi, a dir la verità, lo prendo troppo sul serio. Non mi piace il modo che ha di gestire la sua «papalità», il suo «papaggio». Del resto non so nemmeno se riuscirei a opporgliene un altro.
Giovanni XXIII, questa è facile.
Certo, se ci penso l’unico che mi piaceva davvero era proprio Giovanni XXIII.
Wojtyla no?
Umanamente simpatico ma anche un grande reazionario. Ha smontato il Concilio Vaticano II e distrutto la teologia della Liberazione. E Ratzinger è sempre stato la sua anima nera.
E l’anima nera oggi approda in tv. Neanche un po’ di emozione o almeno di stupore?
Potrei essere contento se il papa rispondesse alle domeande dei fedeli direttamente. Ma questo non succede e allora non faccia finta. E’ come quando voleva andare all’università di Roma a parlare con gli accademici. Peccato che arrivava in sedia gestatoria e non permetteva a nessuno di parlare. Diceva le sue cose, questo sì, cose anche ragionevoli ma non «discutibili». Tanto valeva dirle in Vaticano senza scomodarsi andando all’università.
Il punto è che oggi il pontefice non va all’università ma in televisione. E’ diverso, no?
Certo, qui c’è lo spettacolo, il dispiego di tecnologie e pure il fatto che a maggio parlerà con gli astronauti. Ma c’è qualche altro capo di religione, che so, qualche parroco che fa questo?
Mettiamola così. C’è un papa teologo che apre alla scienza i cancelli del Vaticano e si mette in contatto con lo Shuttle.
Io credo che quello che colpisce di più non è che il papa parli con gli astronauti se no si può sempre evocare Krusciov quando diceva che Gagarin era andato in cielo, non aveva trovato dio e dunque dio non esisteva.
Krusciov a parte, pontefici in televisione ne abbiamo visti spesso ma un papa che va addirittura «in onda» colpisce un po’.
Certo che colpisce perché l’uso di questi strumenti implica un’accettazione del sistema di potere che sta dietro alla scienza e alla tecnologia. Gesù Cristo non me lo immaginerei mai così, «in diretta» su Rai Uno.
In fondo la si potrebbe leggere come una mission evangelica.
Non definirei evangelica la missione di chi va in giro a convertire la gente. Preferirei lasciare ciascuno nelle sua fede. Ma poi utilizzare addirittura gli strumenti che usano i potenti della terra. Secondo me non capita nemmeno al Dalai Lama. Molti pontefici hanno viaggiato negli ultimi decenni. E lo hanno fatto sempre con spirito «missionario». Quello stesso spirito missionario che guidava le imprese dei Conquistadores.
Insomma, lei abolirebbe le «missioni» all’estero e nel caso specifico anche nello spazio.
I pontefici non viaggiano a piedi, viaggiano con l’Alitalia. E perché non a piedi? Perché, il papa chi è? E’ un sovrano terreno. E’ un potente. Come farebbe a parlare con gli astronauti, del resto, se fosse un povero evangelico?
Una settimana di passione. Anche per i palinsensti televisivi.
Sì, e in Italia tutto finisce per diventare un po’ stucchevole. Anche la settimana santa che nei telegiornali viene data come seconda o addirittura prima notizia. Ma chi può credere a una religione cosi avviluppata ai sistemi di potere?
Lei pensa a una trasmissione blindata?
La trasmissione è blindata e il papa è embedded.
Come Berlusconi quando va da Vespa?Paragone pesante e blasfemo.
Se Ratzinger usa gli stessi mezzi di Berlusconi viene colpito dallo stesso sospetto di menzogna.
I mezzi saranno gli stessi ma i fini no.
Da quando la gente partecipa poco agli scioperi? Da quando li annuncia la televisione. Se lo dice la televisione, basta. Fa parte della ritualità sociale.
Ma anche una diversa modalità di partecipazione.
Fino a che punto si può parlare di religione se non a tu per tu o in piccole comunità?
Siamo arrivati al papa nell’epoca della sua riproducibilità tecnica?
Il papa nell’epoca della sua riproducibilità tecnica e la Chiesa nell’epoca della comunicazione generalizzata. Ha ancora senso. Mc Luhan aveva detto che il mezzo è il messaggio, il mezzo condiziona molto profondamente il messaggio. Il papa che dà la benedizione urbi et orbi la messa in televisione la domenica non hanno lo stesso valore dell’adempiere a un precetto. Certo la benedizione è uno spettacolo ma non posso sentirmi benedetto dal papa perché manca qualsiasi senso di vicinanza.
Ama il tuo «prossimo»?
Amare il prossimo è amare il prossimo, se poi tu ami tutti praticamente non ami nessuno.
La sofferenza sarà il tema della trasmissione.
Quando il papa parla della sofferenza come valore è come se parlasse delle indulgenze, quelle che i papi del rinascimento mettevano in vendita. La sofferenza non è mai stata un merito per nessuno, al limite è una prova morale. E anche questo discorso sulla sofferenza è una pretesa di autorità. Perché di quel patrimonio di meriti soprannaturali – la sofferenza, appunto – noi non disponiamo, ne dispone il papa.

L'omofobia del Cardinale Bertone

L'omofobia del Cardinale Bertone
Il Manifesto
, 14 aprile 2011

Ma allora dovremmo non chiamare pedofilo un qualunque maschio dedito a stuprare ragazzine minorenni, dato che la pedofilia è legata a quell'altra "perversione" che è l'omosessualità? Il card. Bertone, che afferma questa ennesima castroneria, lo fa evidentemente in nome di quella "antropologia biblica" a cui spesso alludono i gerarchi cattolici, non sospettando nemmeno lontanamente che essa ha più o meno l'attendibilità della cosmologia contenuta nello stesso testo sacro e abbandonata anche dai più reazionari astronomi pontifici.
Del resto l'antropologia biblica non fornisce molti lumi su che cosa si debba definire in assoluto pedofilia: al catechismo ci hanno insegnato che la vergine Maria andò sposa a Giuseppe intorno ai tredici anni, era quello l'uso della società e dell'epoca, e le sue coetanee che si sposavano a quell'età non erano tutte benedette dallo Spirito Santo, concepivano e partorivano in modi meno soprannaturali. Forse non solo come "padre putativo", ma soprattutto perché non era omosessuale, anche oggi San Giuseppe sfuggirebbe all'accusa di essere pedofilo, vescovi e papi non lo denuncerebbero alle autorità civili, come del resto hanno continuato a fare per tanti anni conformemente ad autorevoli indicazioni del Santo Uffizio, anche ratzingeriano. Che anche l'età in cui si è ritenuti capaci di liberi rapporti sessuali sia un affare di cultura più che di natura non scandalizza nessuno, tranne coloro che continuano a credere che ci sia una "legge naturale" di cui sarebbero detentori il papa e i vescovi e che li autorizzerebbe a decidere in nome di Dio sull'aborto, la fecondazione assistita, l'eutanasia, il divorzio e magari su tutto ciò che le costituzioni moderne affidano alle leggi democraticamente scelte dai cittadini.
Noi possiamo condannare la pedofilia perché viola una legge dello stato, se uno non riesce a resistere a pulsioni pedofile deve cercare di controllarsi, anche con l'aiuto della medicina, più o meno come chi sia compulsivamente esibizionista, o sadico, cleptomane ecc. Non sappiamo se in queste tendenze ci sia qualcosa di "naturalmente" deprecabile, salvo quando, come nel caso della pedofilia, implichino violenza sugli altri; e i bambini, come non fanno contratti e non votano, così non sono considerati capaci di scegliere liberamente se, come e con chi fare sesso. Chi li costringe a farlo fa loro violenza, anche se possiamo capire che non si senta un mostro il vecchio curato o il vecchio maestro che accarezza una giovane parrocchiana o un giovinetto suo discepolo. Se l'una o l'altro non hanno ancora l'età può anche non essere peccato, ma è un reato, e come tale va perseguito (con tutte le eventuali attenuanti del caso: professor Socrate, quanti anni ha il suo Alcibiade?).
Dunque, a parte le ubbie omofobe del card. Bertone e di tanti suoi confratelli (evidentemente l'omosessualità resta il vero nemico, perché è una cosa seria, ormai nessuno la considera una "malattia"; e anche perché se la trovano continuamente per casa), potremmo persino dar ragione a vescovi e papi quando cercano di risolvere la cosa "in famiglia", proprio come accade quando un genitore scopre che il figlio, o la figlia, è stato molestato dallo zio, spesso senza riportarne quei terribili traumi denunciati dagli avvocati americani per ottenere i risarcimenti che hanno mandato in rovina tante diocesi. E, diciamolo a rischio di essere fraintesi o anche maledetti, quanta della violenza connessa alla pedofilia dipende dallo stigma sociale che l'ha da ultimo sempre più duramente colpita? Il pedofilo che abusa del bambino nel bosco forse non lo ucciderebbe se non temesse di essere denunciato alla nonna e poi proposto da Calderoli per la castrazione chimica. Creare mostri non è mai servito a nulla. Sto chiedendo di premiarlo, invece? Certo che no. Solo, enunciando pensieri che vengono in mente anche a chi, senza essere pedofilo (con tutto il rispetto per il loro problema) è sanamente omosessuale; pensieri su cui tanti, preti, vescovi e no, forse farebbero bene a riflettere.
Gianni Vattimo

giovedì 21 aprile 2011

La battaglia della Mole

Blog "Salviamo la Mole": http://salviamolamole.altervista.org/

Torino, parte la battaglia della Mole
"Il nuovo palazzo sconvolge lo skyline"

Gianni Vattimo e Nicola Tranfaglia con gli abitanti in rivolta: "fermatelo", ma i progettisti assicurano che uno scorcio rimarrà libero.

di Diego Longhin, La Repubblica Torino, 20 aprile 2011

"Non soffochiamo la Mole". L'appello è on-line. Un blog di un gruppo di residenti per difendere l'emblema di Torino da quello che definiscono un mostro: un nuovo palazzo di sette piani, un edificio moderno che rischia di rovinare per sempre la Mole. "Vogliamo che la gente sia informata - dice Mauro Barrera - questo edificio peggiora il senso di soffocamento, danneggia del tutto i pochi scorci in una zona già piena di case. Per noi non si deve fare, punto e basta. Salviamo la Mole".

All'appello hanno aderito semplici cittadini, che stanno inviando i loro post, professori dell'Università, oltre al filosofo Gianni Vattimo e allo storico Nicola Tranfaglia: "È un ostacolo - dice - a Torino gli spazi per costruire non mancano. Perché proprio lì, perché si deve rovinare quella vista".

I residenti sono pronti a dare battaglia. Vogliono convincere la futura amministrazione a cambiare il progetto. La variante al piano regolatore non è ancora stata approvata dal Consiglio in scadenza. Palazzo Civico però è d'accordo: l'area, 750 metri quadri, è stata messa all'asta e comprata nel 2008 da un investitore per 2 milioni e 600 mila euro. "Non si tratta di un mostro - sottolinea l'assessore uscente all'Urbanistica della giunta Chiamparino, Mario Viano - il progetto è figlio di un anno e mezzo di discussione tra lo studio di architetti e la soprintendenza. La richiesta di concentrare i piani su un angolo dell'isolato, mantenendo un vuoto su via Riberi per non alterare lo scorcio della Mole, è un vincolo imposto". E le lamentele dei residenti? "Legittime, ma non dipendono dalla vista. Prevale semmai la filosofia "non nel mio giardino". È un intervento di riqualificazione e coinvolgere persone vicine all'orientamento politico dell'amministrazione non servirà a farci cambiare idea".

Le foto e le simulazione caricate sul blog dei residenti danno però un'altra immagine. Un blocco che ridisegna il profilo della Mole. "Non sono corrette - ribatte l'architetto Paola Gatti, uno dei progettisti - stiamo parlando di un edificio di 23 metri. La Mole è alta 167 metri. Si facciano le proporzioni". Lo studio "Negozio Blu" prima aveva realizzato un edificio di cinque piani. Poi l'ha modificato a sette, mantenendo però una "fessura" per garantire uno scorcio di vista, imposta dalla soprintendenza. "Siamo alla stessa altezza degli altri palazzi". Per la soprintendente Luisa Papotti è giusto il dibattito, ma si evitino le polemiche fini a se stesse: "È ovvio che con sette piani si vede qualche metro in meno della Mole, ma le modifiche, sono state fatte su nostra richiesta. Quando ci sarà il progetto verificheremo".


Intervista a Gianni Vattimo

Professore, lei ha il privilegio di vedere la Mole dal suo balcone. Che ne pensa del palazzo che sorgerà in via Riberi?

«Ho sempre amato quella stradina così com’è. Ha l’aria tranquilla di certe viuzze di Parigi. Per fortuna è pedonale: immagino quanto sarà soffocata se davvero sorgerà un caseggiato di sette piani».
Lei dunque è contrario?
«Sì. La Mole è il nostro monumento più importante. È incomprensibile che vogliano mettergli davanti un mastodonte che gli fa ombra fino a metà».
Per il Comune la vendita è un guadagno. Conta più l’estetica dell’economia?
«Il panettone dell’Antonelli è un po’ come il Vittoriano a Roma: una torta di zucchero, ma visto che ormai l’abbiamo edificato difendiamolo e valorizziamolo, anziché cercare tutti i modi per pizzicarlo in un dedalo di case private».

La nuova PidUE

Un post dal mio blog su Il Fatto quotidiano, 20 aprile 2011

La nuova PidUE

Il 30 marzo 2011 presentavo, insieme con Sonia Alfano e alcuni colleghi dell’Alde, un’interrogazione parlamentare alla Commissione europea e al Consiglio dei ministri in merito alla revisione della costituzione presentata al parlamento ungherese dal premier Viktor Orban. In particolare, chiedevamo ai due organi se a loro parere il testo della carta dovesse essere considerato come portatore di un deciso contrasto con il trattato dell’Unione europea. La nuova costituzione, approvata l’altro ieri con la maggioranza dei due terzi dell’aula (e scarso rispetto, sostengono le opposizioni – quella di sinistra si è polemicamente allontanata dall’aula stessa –, delle procedure di consultazione), esalta “un’idea di unità nazionale dell’Ungheria”, fondata sui valori del Cristianesimo e sul ruolo di quest’ultimo nel preservare appunto la nazionalità ungherese; limita fortemente i poteri della Corte costituzionale e modifica il mandato dei suoi membri (così come dei presidente della Corte dei conti e del governatore della banca centrale); potenzia il controllo governativo sui media e sulla magistratura; riduce il concetto di famiglia in modo tale da escludere ogni riferimento alle famiglie monoparentali, alle coppie conviventi e dello stesso sesso; vieta la discriminazione, ma non per motivi di orientamento sessuale, età e caratteristiche genetiche; chiede che “la vita del feto” sia tutelata fin dal concepimento; estende il diritto di voto ai minori o alle loro madri, così come agli Ungheresi che risiedono all’estero (ciò che ovviamente preoccupa le nazioni confinanti).

“Dio, patria e famiglia”, riassumono correttamente i principali organi di stampa. Un episodio agghiacciante di quella che appariva, fino a poco fa, come la storia quasi conclusa dell’Unione europea, ormai ridotta a inseguire obiettivi stabiliti troppi anni fa, percorsa come sempre da divisioni interne che sembrano però sempre più difficili da neutralizzare, ancora vittima dei divergenti interessi nazionali in materia di politica estera, e dell’ormai scontata subalternità nei confronti delle potenze emerse (gli Stati Uniti) ed emergenti (Cina, Bric, ecc.). Curiosamente, tuttavia, l’episodio ungherese ristabilisce l’attualità (troppo facilmente venuta meno) delle osservazioni di Asor Rosa a proposito del caso italiano. Come notano alcuni quotidiani (La Repubblica, ad esempio), l’Europa intervenne con decisione ai tempi di Haider (la cui colpa era più semplicemente quella di essere stato eletto), ma è prevedibile che stenti a farlo oggi con l’Ungheria. Difficile intervenire, in generale, quando una democrazia decide, (più o meno) democraticamente, di limitare la democrazia stessa. Ancora più difficile è farlo quando l’ente sovranazionale europeo è debole, e tale si presenta agli occhi di cittadini ai quali il sogno europeo dice ormai troppo poco.

Soprattutto, però, quello che ci preoccupa è che il caso ungherese prefigura, mutatis mutandis, il futuro (che è però già tra noi) del caso italiano. È utile ricordare che il nostro presidente del Consiglio è stato un membro della P2, così come il capogruppo alla Camera (l’innominabile Cicchitto) del suo partito; e che il Piano di rinascita democratica di Licio Gelli (si veda la lucida analisi compiuta da Marco Travaglio dei progressi attuativi del piano stesso a opera dei vari governi di B. dal 1994 a oggi, che contiene precise indicazioni delle volontà politiche dell’esecutivo italiano). Si noti poi la somiglianza tra i nuovi dettami della costituzione ungherese e i pilastri del Piano stesso; e la convergenza tra i valori ispiratori della carta di Budapest e i nuovi slogan dell’invadente B., che vorrebbe sottrarre i giovani ai professori di sinistra per restaurare i valori della famiglia. Se un tempo l’Europa era il futuro dei paesi europei ex comunisti, oggi questi ultimi potrebbero essere il futuro di non pochi paesi europei (si ricordi la Finlandia), nei quali la democrazia si ribella a se stessa ma in nome del fantomatico sostegno degli elettori, non a caso sbandierato dal regime italiano ogniqualvolta lo si critichi. A quando l’istituzione di un nuovo ministero per l’attuazione del Piano anziché del Programma? Nel frattempo, si studi bene la nuova costituzione ungherese; tanto vale prepararsi. E, soprattutto, si cominci seriamente a riflettere sul da farsi: in fondo, con buona pace dei tanti che l’hanno demolito, quello di Asor Rosa non è che un tentativo di ripensare gli anticorpi (mai come ora la metafora è calzante) che la democrazia dovrebbe possedere contro la sua stessa degenerazione.

Gianni Vattimo

Le centrali atomiche, la trasparenza e i limiti della scienza

Le centrali atomiche, la trasparenza e i limiti della scienza

Aetnascuola.it, 12 aprile 2011

I limiti della scienza e della ricerca: intervista a Gianni Vattimo, filosofo del "pensiero debole"

Gianni Vattimo è professore di Filosofia Teoretica all’Università di Torino, già Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia presso lo stesso ateneo. Ha studiato con Hans-Georg Gadamer e Luigi Pareyson. Negli anni cinquanta con Furio Colombo e Umberto Eco, ha lavorato per alcuni programmi culturali della Rai-Tv, conducendo anche il programma settimanale politico-informativo Orizzonte. Membro di comitati scientifici di varie riviste italiane e straniere, ha diretto la Rivista di Estetica. Nel 1997 ha ricevuto l’Onorificenza di Grande Ufficiale al Merito della Repubblica Italiana. È attualmente vicepresidente dell’Academía da Latinidade. Nel 2009 è stato rieletto al Parlamento europeo, dopo il primo mandato dal 1999 al 2004. È conosciuto come il teorico del Pensiero debole. La sua riflessione filosofica è sempre attenta ai problemi della società. Ora, dopo la catastrofe giapponese, tutti i Paesi del mondo si interrogano sul nucleare; la sua opinione resta contraria all’introduzione in Italia di questa tecnologia; per Vattimo si dovrebbe equilibrare il rapporto tra ricerca scientifica e realizzazione tecnologica alle esigenze della società.

Professor Vattimo cosa rappresenta nella società odierna il pensiero debole? È sinonimo di relativismo etico o vuole fondare la legittimità di valori diversi?

Il Pensiero debole è un discorso contro la nozione di fondamento. Il termine fondamento è stato utilizzato nella tradizione filosofica come punto di riferimento ultimo, come evidenza prima, è un concetto su cui tutto si fonda ma che, a sua volta, non è oggetto di domanda. L’evidenza prima è in genere un eccesso di confidenze; in realtà il pensiero debole è l’idea di criticare le pretese di definitività delle metafisiche che ci hanno preceduto e abbiamo ereditato. Non è un’invenzione individuale, è un pensiero filosofico che ritroviamo in Nietzsche e Heidegger. Quando il fondamento è dato come evidente e ci si arresta senza poter andare oltre, non si fa altro che identificare l’essere con l’ente. Il Pensiero debole è un discorso sulla libertà di fronte al fondamento. C’è una frase di Heidegger, scritta in uno dei suoi ultimi saggi, molto emblematica: “Lasciar perdere l’essere come fondamento”. È un relativismo moderato, senza fondamenti assoluti ed equivalenti, in quanto possiamo essere d’accordo su alcune cose mentre su altre mai. Non abbiamo l’arbitrio di decidere quello che vogliamo, esso è controllato dagli altri. Potrei citare un mio collega, Santiago Zabala e anche Orti quando sostiene: “Pur che la conversazione vada avanti”. Heidegger parla dell’essere come linguaggio, lo identifica nel dialogo; l’unico fondamento di cui disponiamo è ciò su cui concordiamo, sono un esempio le leggi o, ancora, il riconoscere la tradizione dei classici, perché sono opzioni su cui convergiamo congiuntamente. Questo significa che sarà anche relativismo, ma poco soggettivo e ancor meno individualistico. È più un discorso di appartenenza a comunità di fede, di valori, in cui gli stessi non sono assoluti. Volendo fare un esempio politico: quando la Chiesa o qualche scuola sostengono che esistono principi non negoziabili è soltanto una questione di autoritarismo. Perché i principi non dovrebbero essere negoziabili? Quali risposte potrebbero trovarsi al di là dei principi stessi? A mio avviso questo contrasta la libertà individuale.

Da filosofo e politico, qual è la sua posizione in merito al nucleare in Italia?

Sono contrario poiché esistono rischi da non trascurare, non soltanto legati alla sicurezza delle centrali ma anche allo smaltimento delle scorie radioattive. Si può ragionare in termini politici su questioni legate alle opportunità tecnologiche. Un mondo pieno di scorie radioattive sarebbe un mondo militarizzato, non voglio immaginare cosa accadrebbe se un malintenzionato penetrasse in un deposito con l’intenzione di commettere atti terroristici, ne potrebbe derivare una catastrofe. Un Paese militarizzato si trasformerebbe in uno Stato in cui verrebbe a mancare il principio di libertà. Esistono tutt’ora tante altre mancanze di libertà nella nostra società, ancor di più se aggiungessimo il problema delle scorie. Ciò che è accaduto in Giappone, anche se per colpa di un fortissimo terremoto e di un altrettanto devastante tsunami, dimostra che si devono sviluppare altre fonti di energia. Da filosofo ritengo di essere antisviluppista; non posso pensare che l’emancipazione umana sia fondata su uno sfruttamento di risorse. Il consumismo, che non condivido assolutamente, è connesso a queste problematiche. Un Pensiero debole è anche un pensiero ecologico volto alla riduzione dell’aggressività in tutti i campi e soprattutto in quello ecologico.

Scossi dal disastro nucleare di Fukushima, il mondo e la comunità scientifica si interrogano sulla sicurezza di questa tecnologia. Secondo lei uno scienziato deve essere libero di fare ricerca teorica e pratica a prescindere da ogni possibile risvolto negativo per la vita delle comunità umane?

Voglio affermare che non considero i diritti della ricerca come diritti assoluti. È la solita questione: il diritto assoluto della scienza alla ricerca si fonda sul quel feticcio che è la verità con la “v” maiuscola. Conoscere la verità è un valore quando serve a qualcosa, si dovrebbe sostituire al concetto di verità quello di carità, soprattutto nel caso dei valori condivisi nel rispetto dell’altro. Non diciamo che siamo d’accordo perché abbiamo trovato la verità, diciamo che abbiamo trovato la verità perché siamo d’accordo. I diritti della scienza sono interessanti, nella nostra storia sono esistiti tanti scienziati pazzi che hanno fatto molte scoperte unicamente per perseguire il loro sogno di verità, altri invece hanno portato avanti scoperte perché volevano raggiungere uno scopo. Quale scienziato non sogna di arrivare grazie alle sue ricerche al Nobel? Non esiste la ricerca disinteressata della verità, è sempre legata a qualche ragione, ribadisco: niente feticci di disinteresse sul valore assoluto della verità.

Qual è allora il giusto equilibrio tra natura, scienza e cultura?

Una gestione più democratica della ricerca scientifica. So benissimo che non si può chiedere a tutti i cittadini di diventare degli esperti di fisica nucleare. Quando ci sarà il referendum sul nucleare cosa potrò fare da cittadino? Potrei chiedere opinioni alla comunità scientifica, però anche quest’ultima è divisa. Come seconda opzione potrei scegliere di farmi informare dagli scienziati migliori, ma qui sorge un secondo problema: sono io in grado di decidere quali sono i migliori? Allora scelgo di confrontare le mie opinioni con qualcuno che condivide i miei ideali politici o con le persone che incontro tutte le domeniche a messa. Non posso accettare solo quello che dice la scienza, potrei farlo se fossero assolutamente tutti d’accordo su questo tema. È una problematica legata alla comunità e alla vita. Bisognerebbe equilibrare alle esigenze della società il rapporto tra ricerca scientifica e realizzazione tecnologica. Credo che la definizione di Lenin sul comunismo come “l’elettrificazione più i Soviet” sia ancora la migliore; egli stesso sosteneva il progresso scientifico, industriale, sotto il controllo dei Soviet, con rispetto parlando per l’Unione Sovietica.

La Tepco, multinazionale energetica che gestisce gli impianti nucleari in Giappone, ha nascosto negli anni diversi problemi tecnici riguardanti le sue centrali. Quando il potere economico è nelle mani di una multinazionale, a suo avviso, come cambia il rapporto tra sviluppo tecnologico e democrazia?

Cambia a vantaggio del capitale e del capitalismo. Una multinazionale per definizione tende a sottrarsi alle discipline nazionali. Purtroppo torna attuale un’espressione delle Brigate Rosse, che ha scandalizzato molto in passato poiché era accompagnata da efferati delitti, sullo Stato imperialista delle multinazionali definito con l’acronimo Sim. Oggi le multinazionali sono l’unica realtà esistente, le organizzazioni politiche in genere sono rinchiuse in un ambito nazionale perdendo così potere. L’Unione Europea è permeata da lobby e interessi. Su questo argomento sono di parte: il capitale mondiale con questo assetto è un vero e proprio mostro incontrollabile.

Multinazionali e capitale, quali sono le ripercussioni sull’individuo?

È anche un problema filosofico, Heidegger utilizzava una bellissima espressione: Gestell. Altro non è che l’insieme delle posizioni, della volontà produttiva. Produrre merci per mezzo di altre merci e denaro per mezzo di denaro, un grande automatismo ma non una legge assoluta. Un pensatore come Severino ha definito questo processo come la logica del nichilismo, oggi ha un nome: capitale. Continuo ad essere un materialista storico, bisognerebbe tagliare la testa ad alcune idre.

Il mondo ha cominciato a riconsiderare le proprie posizioni sulle centrali nucleari soltanto dopo l’ennesima catastrofe. Alcuni pensatori sostengono la necessità di istituire Università delle catastrofi per studiare il problema alla radice. Cosa ne pensa?

È un quesito molto interessante. Nessuno riflette a fondo sul problema fino a quando l’evidenza non fornisce gli strumenti per farlo. Anch’io avrei voluto rendermi conto dei rischi che comporta il nucleare senza assistere a tutte queste catastrofi: l’esperienza è sempre uno shock. La vita personale è fatta di trasformazioni prodotte da incontri che spesso diventano scontri. Guardo all’esperienza non tanto come veniva definita dagli empiristi, cioè approccio sperimentale alla conoscenza, ma piuttosto sono d’accordo con il pensiero di Hegel: l’esperienza è uno scontro con antitesi che devono essere continuamente sintetizzate, uno shock. Non sono in disaccordo con chi teorizza le Università delle catastrofi, questo non per giustificare un disastro in sé, semplicemente perché così accade nel mondo.

Stephen Hawking, matematico e astrofisico, profetizza come unica possibilità di sopravvivenza per l’uomo emigrare nello spazio. Latouche, invece, pone la teoria della decrescita come unico modo per contrastare il fallimento dello sviluppo sostenibile. Qual è la sua opinione in merito?

Simpatizzo molto con le teorie di Latouche, emigrare nello spazio ovviamente è qualcosa che l’uomo ancora vede come sogno per il futuro, Hawking rappresenta l’andamento della nostra storia da tempo, naturalmente non vorrei che si finisse verso un colonialismo spaziale. Si pongono entrambi il medesimo problema sotto prospettive differenti: il primo guarda all’ideale di una società nel futuro, l’altro guarda alle posizioni da prendere nell’immediato. Latouche ci dà delle indicazioni concrete su come il genere umano dovrebbe comportarsi con il proprio pianeta. Quando sarà possibile migrare nello spazio ne riparleremo. Hawking non è irrealistico, è forse una posizione troppo futuristica. Una cosa è certa: se si continua con questa politica e non si pone un freno allo sfruttamento delle risorse, l’umanità si troverà in una situazione ben più grave di quella attuale.

Aetnascuola nasce con l’intento di offrire un’informazione ad ampio spettro su temi e problemi scolastici della provincia di Catania e della regione Sicilia, senza trascurare il più ampio panorama di riferimento nazionale. Particolare attenzione rivolgeremo all’annosa questione dei precari, alle loro esigenze e ai loro bisogni, perché il mondo dei supplenti è una grande risorsa della scuola, spesso ingiustamente misconosciuta e bistrattata. Parallelamente intendiamo offrire un servizio a tutte le scuole siciliane per la diffusione di iniziative, concorsi, attività che possano testimoniarne la vitalità.

martedì 19 aprile 2011

Karol Wojtyla - Il grande oscurantista

Karol Wojtyla - Il grande oscurantista”: da martedì 19 aprile in edicola il numero speciale di MicroMega

A pochi giorni dalla beatificazione di papa Wojtyła, MicroMega esce martedì 19 aprile con un numero speciale che farà discutere. Dedicato proprio all’ex pontefice. Un volume con un titolo inequivocabile: “Karol Wojtyła, Il grande oscurantista”.

Verranno riproposti contributi già apparsi in passato su MicroMega, ad eccezione della testimonianza di dom Giovanni Franzoni di fronte alla Postulazione per la causa dei santi nel processo di beatificazione di Wojtyła e della riflessione di Hans Kung, il maggior teologo cattolico vivente, che ricorda le tante ombre di Giovanni Paolo II: dalla titubanza nell’intervenire sugli abusi sessuali al pieno sostegno ai Legionari di Cristo del ‘discusso’ Maciel passando per la crociata sul celibato ecclesiastico, la carenza di miracoli e l’inflazione di santificazioni dal grande valore mediatico. Una dettagliata cronologia ripercorre poi tutte le tappe del lunghissimo pontificato di Giovanni Paolo II.

Ma nel numero c’è spazio anche per tutte le opinioni sul pontefice nel più classico dialogo tra posizioni differenti. Come nella tavola rotonda “Rinascita cattolica o sfida oscurantista?” - tra Paolo Flores d’Arcais, Piero Coda, Emanuele Severino, Enzo Bianchi, Gianni Vattimo, Andrea Riccardi e Massimo Cacciari - e nella sezione dedicata all’enciclica “Fides et Ratio” dove si possono leggere i contributi di Fernando Savater, Leszek Kołakowski, Angelo Marchesi, Paolo Flores d’Arcais, Gianni Vattimo, Carlo Augusto Viano e Vincenzo Paglia.

E infine, l’ultima sezione del numero, è dedicata alla sua morte. Lina Pavanelli osserva come un’attenta analisi delle condizioni di salute di Giovanni Paolo II dimostra che non gli sono state praticate, nelle ultime settimane, alcune cure che avrebbero potuto tenerlo in vita ancora a lungo. Wojtyla, per l’autrice, le avrebbe rifiutate perché le considerava troppo gravose: lui diventerà santo, a Piergiorgio Welby sono stati rifiutati persino i funerali.

LEGGI IL SOMMARIO

E in particolare...

TAVOLA ROTONDA
Paolo Flores d’Arcais / Piero Coda / Emanuele Severino / Enzo Bianchi / Gianni Vattimo / Andrea Riccardi / Massimo Cacciari / Umberto Galimberti - Wojtyła il Grande: rinascita cattolica o sfida oscurantista?
Svoltasi pochi giorni dopo la morte di Giovanni Paolo II, in questa tavola rotonda filosofi, teologi, storici – credenti e non credenti – affrontano senza diplomazie gli aspetti cruciali e controversi di un papato che ha segnato un secolo e l’intera storia della Chiesa: il rapporto con la modernità, il dialogo interreligioso, l’impatto nella politica, la questione del ‘senso’.

Gianni Vattimo - Contro gli assolutismi di Fede e Ragione
Né con il papa né con Flores d’Arcais. Il filosofo del pensiero debole critica quelli che considera i due assolutismi simmetrici della Fede e della Ragione. In entrambi i casi, la conseguenza è la fine della libertà e della democrazia.

domenica 17 aprile 2011

Piazza, fascismo, par condicio


Un post dal mio blog sul sito de Il Fatto quotidiano, 16 aprile 2011

Piazza, fascismo, par condicio


I custodi della democrazia parlamentare (non parlo ovviamente di Giuliano Ferrara) che si sono scandalizzati dell’articolo di Asor Rosa sul Manifesto del 13 aprile hanno forse letto meno attentamente un articolo di Juergen Habermas uscito su La Repubblica dello stesso giorno. Le considerazioni di Habermas, meno esplicitamente riferite alla situazione italiana, erano però le stesse di Asor Rosa: prendevano atto (citando persino il New York Times) della crisi irreversibile del sistema democratico parlamentare in cui viviamo noi del “mondo libero”, e tematizzava la dissoluzione sempre più marcata di ogni politica degna di questo nome. Secondo Habermas, solo (forse) l’ideale dell’unità europea, praticato seriamente, potrebbe ancora fornire contenuti significativi per i quali impegnarsi come cittadini. In considerazione di questo, l’articolo concludeva con la tesi che “forse per i partiti politici sarebbe ora di rimboccarsi le maniche” (ahi, ha letto Bersani?) e “scendere in piazza per l’unificazione europea”.

Ciò che colpisce, in un pensatore “moderno” e istituzionalista come Habermas, è proprio l’allusione alla piazza. Proprio un razionalista illuminista come lui, da sempre persuaso che si possa fondare una politica democratica sul dialogo e, in definitiva, le istituzioni (parlamenti, Onu, ecc.), chiamare i partiti a scendere in piazza è un segno che la speranza (o la pazienza) sta venendo meno. Non c’è da aspettarsi che la politica ritrovi un contenuto e un volto decente, capace di non defraudare i cittadini dei loro diritti, se si guarda solo ai parlamenti e alle istituzioni. Asor Rosa, nel suo articolo, è più habermasiano di lui: non invoca la piazza (forse per la semplice ragione che, come l’esperienza italiana insegna, la piazza non ce la fa; Berlusconi resiste perché ha “servi di acciaio” che occupano il parlamento), ma chiede l’intervento costituzionale delle forze dell’ordine: Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza.

Il capo delle forze armate è il Presidente della Repubblica, che è anche il custode della Costituzione. Come ha il potere, uditi i presidenti delle Camere e del Consiglio (ma non ci sarebbe un ennesimo conflitto di interessi, nel caso del cavaliere? Lo “oda” pure, ma non gli dia retta!), di sciogliere il Parlamento e indire nuove elezioni, così (se leggiamo bene la Costituzione) può decretare lo stato di emergenza e ordinare alle forze dell’ordine di difendere, per l’appunto, l’ordine democratico. Gli esempi che Asor Rosa adduce sono dei più convincenti: sarebbe stato golpe se Vittorio Emanuele III avesse schierato l’esercito contro le milizie fasciste in marcia su Roma, e avesse rifiutato di affidare il governo a Mussolini? Possiamo allora chiedergli di aspettare che il pericolo fascista – anche solo della corruzione dilagante, del trionfo del potere mafioso su cui si regge Berlusconi – diventi più evidente e cioè, ormai, incontrastabile?

Asor Rosa, nell’intervista a La Repubblica (del 14 aprile, ndr), sembra volersi limitare alla messa in luce di una questione di metodo: se la maggioranza parlamentare – di cui sappiamo come è stata reclutata, e persino a che prezzi – calpesta la Costituzione e si rifiuta di essere giudicata dalle autorità competenti, che cosa bisogna fare? Difendere l’ordine democratico con le forze dell’ordine è appunto quel che si deve fare. Se no, di grazia, che cosa? Se Hitler, sia con l’uso dei media di cui illegalmente dispone, sia comprando i voti, o semplicemente perché una maggioranza di cittadini lo preferiscono, vince le elezioni, lo stato democratico non ha mezzi per difendersi? Può una tornata elettorale ordinaria valere come base di legittimità per il cambio della Costituzione? La banda di gangster che oggi occupa il governo dispone, oltre tutto, di una maggioranza estremamente esigua, e con le leggi che approva sta di fatto stravolgendo la Costituzione. Non è ora per il Capo dello Stato di intervenire? Fermi con la forza legale di cui dispone questa inedita marcia (anche nel senso di marciume!) su Roma. Prima che sia troppo tardi. O la sua inerzia significa che, appunto, troppo tardi è già?

Post-scriptum (post-post?)

Forse il mio, ma anche quello di Asor Rosa e Habermas, è solo un problema di salute: s’invecchia, e si diventa insofferenti. Sta di fatto, però, che poco fa ho rifiutato l’ennesimo invito di una televisione privata in cui ho anche degli amici, che mi chiedeva di partecipare a una trasmissione in cui avrei dovuto misurarmi anche con la Santanché. E, cosa ancora più grave, ieri sera sono scappato, subito dopo l’inizio, da Annozero per vedere un film. La parte della Santanché lì era esercitata da Cota. Non faccio queste confessioni per mettere in piazza i miei stati d’animo o di stomaco, ma per chiedere ai non pochi con cui condivido orientamento politico e esili speranze di futuro se non sia il caso di mettersi in sciopero del “dialogo”, in una sorta di Aventino civico che consista nel rifiutare di scendere troppo in basso, per rispetto della dignità e della, sia pur limitata, intelligenza di cui ancora ci sembra di disporre. Se per sentire dire da Santoro alcune verità sullo stato del Paese dobbiamo ascoltare anche – democraticamente – le autentiche turpitudini di figure e figuri come la Santanché, Cota, o persino di quel brav’uomo di Paniz, allora meglio il silenzio, svegliateci quando sarà passata la nuttata, oppure quando verranno ad arrestarci per vilipendio della par condicio.

Par condicio con i banditi, i bugiardi, i credenti nella relazione di parentela di Ruby con Mubarak, i venduti a un tanto al chilo (posti di sottosegretario, o anche solo mutui da pagare…)? Preferiamo riconoscere francamente che il fascismo c’è già; non possiamo sparare, per ora (come dicono Castelli e Speroni), ma almeno siamo coscienti che lì, prima o poi, ci porteranno questi affaristi e delinquenti che occupano il governo del paese in violazione di ogni elementare diritto umano. E l’Europa, che pure ha decretato sanzioni contro l’Austria quando in Carinzia aveva vinto le elezioni il “fascista” Haider, buonanima, tace sullo scempio della democrazia in Italia? Altro che aiuto sull’immigrazione, qui ci sarebbero gli estremi per un intervento armato della Nato… Paradossi, paradossi – come quelli che, secondo la timorata direttrice del Manifesto, sarebbero il vero senso dell’intervento di Asor Rosa, che così risulta solo un’ennesima chiacchiera da “dibattito” in regime di par condicio… Quando ci accorgeremo che l’Italia è (ri)diventata un paese fascista sarà troppo tardi. Magari ci verranno conservati i dibattiti televisivi con la Santanché, finché i nostri stomaci resisteranno…

Reggio Emilia, Giornate della laicità: "Essere e fede", video della conferenza


Qui troverete il video di una parte della mia conferenza "Essere e fede", tenuta ieri, 16 aprile 2011, presso l'Università di Modena e Reggio Emilia, nel quadro delle Giornate della laicità.

Vattimo e Heidegger

Gazzetta di Reggio, 16 aprile 2011

Vattimo e Heidegger

REGGIO
. Aula universitaria stracolma per assistere alla lezione del filosofo Gianni Vattimo su «Essere e fede». Un excursus giocato sul ruolo del filosofo tedesco Heidegger, che ha avuto grande influenza sul pensiero filosofico del secolo scorso. Ma non sono mancati i rimandi ad altri relatori del Festival come Odifreddi e sottili battute: «Un positivista - ha detto Vattimo - non andrebbe mai da uno scienziato a farsi indicare per chi votare».
Per Vattimo quando ci si confronta con la ragione illuminata dalla fede, si deve stare attenti a non farsi sottrarre la libertà all'autodeterminazione. L'uomo, ha aggiunto Vattimo richiamando Heidegger, non può imporre all'essere la sua verità, ma si deve comportare nei confronti di ciò che è come nei confronti dell'ospite atteso, custodendo la dimora predisponendosi alla possibilità di un incontro futuro. In questo senso va inteso l'allarme che il filosofo tedesco ha lanciato nei confronti della società dell'organizzazione totale e della tecnica che attraversa tutto il suo pensiero. L'uomo che mette a repentaglio se stesso nell'obiettivo di conseguire il dominio sull'ente. Si tratta perciò di arrivare ad un'etica originaria basata sull'apertura al mistero mantenendosi disponibili, mediante questa meditazione sulla tecnica, alla possibilità di una nuova manifestazione dell'essere. (r.f.)

La libertà di amare nelle società democratiche

Un articolo sull'incontro organizzato dalla Biennale della Democrazia 2011 (Torino, 13-17 aprile 2011)

La libertà di amare nelle società democratiche

Si possono definire realmente democratiche società dove non è possibile esprimere a pieno la propria affettività? Questa la domanda che ha rappresentato il filo conduttore dell’incontro al Teatro Gobetti dal titolo “Liberi di amare. Omosessualità e transgenderismo nella società multiculturale”. Voci del dibattito Gianni Vattimo, Vladimir Luxuria e Franco Buffoni.

Le rivendicazioni di diritti della gay community sono spesso appelli di tipo culturale. Sono l’espressione di un desiderio di democrazia: poter vivere a pieno la propria vita senza discriminazioni. Vladimir Luxuria, politica e attivista dei diritti Lgbt (Lesbian, gay, bisexual and transgender) spiega: “libertà di amare non significa solamente potersi innamorare di qualcuno, ma anche poter esternare questo amore. Fino alla libertà di sentirsi uguali agli altri, di poter fare progetti, di essere riconosciuti dallo stato”.

Secondo Vattimo, filosofo e politico torinese, le questioni intorno ai Lgbt sono frutto di decenni di repressione, i cui responsabili sono le tradizioni culturali locali e la Chiesa. Bisogna capire fino a che punto i rapporti con la comunità di appartenenza condizionano le persone. Un omosessuale può “infischiarsene di ciò che si pensa di lui, ma allo stesso tempo soffre perché appartiene ad un gruppo in cui non si riconosce”. La soluzione spesso è la fuga. Scappare da una “società legalmente repressiva, ma giuridicamente intollerabile”. Dalle città di provincia verso le metropoli, dall’Italia verso Paesi più tolleranti. “È un fatto democratico – continua Vattimo – non avere il diritto di organizzarsi una vita affettiva secondo ciò che detta il proprio cuore? Dov’è finito il diritto alla felicità?”.

La gay community sta vivendo una battaglia culturale, contro gli stereotipi e i preconcetti radicati nella nostra società. È una lotta che inizia nell’ambito famigliare. “La barzelletta meglio essere neri che gay, almeno non devi dirlo alla mamma è ancora valida” – conclude il filosofo.

Secondo Buffoni internet può rappresentare una chiave di svolta per educare i giovani alla cultura della diversità. E per aggiornare una legislazione antiquata, non al passo con i tempi.

Luxuria conclude con una nota sentimentale. Per ora, non essendoci una legge che riconosca le coppie di fatto, c’è solo un positivo per le coppie gay: esse vivono un sentimento intenso, un amore romantico, avversato. Quell’amore descritto da Shakespeare in Romeo e Giulietta e da Manzoni nei Promessi Sposi.

Francesca Dalmasso, Master in Giornalismo di Torino

mercoledì 13 aprile 2011

La deriva socio-culturale dell'Italia berlusconiana secondo Vattimo


La deriva socio-culturale dell'Italia berlusconiana secondo Vattimo

Il vicepresidente del Cnr Roberto De Mattei dichiara che l'impero romano è crollato a causa dei gay. Il filosofo Vattimo analizza e commenta i fatti

di Valentina Venturi (Agenzia Multimediale Italiana)

«In Italia ormai abbiamo superato l'oscurantismo medioevale: siamo regrediti all'epoca preistorica. Anzi alle caverne». Il filosofo, politico e professore Gianni Vattimo (audio) commenta le frasi del vicepresidente del Cnr Roberto De Mattei sui gay e sul terremoto a Fukushima e si lascia andare ad analisi socio-politiche. Se infatti De Mattei dichiara a Radio Maria che «l'Impero Romano è caduto per colpa dei gay, punito da Dio con l’invasione barbara per purificare il territorio dalla presenza degli “invertiti», Vattimo risponde che «l'idea che dio sia adirato con gli invertiti e che per questo faccia cadere l'impero romano significa che siamo finiti in una fabula!».

Professor Vattimo, come commenta le affermazioni del vicepresidente De Mattei?
«Intanto conoscevo già il nome di questo signore non per il suo titolo professionale, ma perché qualche tempo fa aveva detto che lo tsunami in Giappone era stato una punizione alla malvagità umana. E che la sofferenza subita dai bambini innocenti, che ancora non avevano avuto modo di peccare, era una forma di sacrificio che salvava tutti. Siamo al modello del sacrificio, come se dio fosse quel signore che per ristabilire una qualche giustizia di cui non si vede il senso, essendo contro gli umani, ha bisogno di sangue. È la visione più primitiva della religione».

Pensa abbia sbagliato?
«Tutto questo non solo è poco scientifico, ma anche poco cristiano. Nel caso dei gay si cerca chiaramente un capro espiatorio. Se si parlasse delle invasioni barbariche si potrebbero fare discorsi storici, ma l'idea che dio sia adirato con gli invertiti e per questo faccia cadere l'impero romano siamo ad una storia, alla fabula!».

Un esempio di omofobia?
«È imbarazzante che un personaggio del genere sia al Cnr: forse è una nomina governativa. Nel Governo quanto più uno è reazionario, oscurantista e poco ragionevole, tanto più ha chance di salire alle supreme gerarchie. Ricordiamoci poi che Berlusconi dice che è meglio essere un grande donnaiolo che gay. Ma ne dice talmente tante negli ultimi tempi, che passa quasi in secondo piano l'omofobia».

Crede si stia tornando all'oscurantismo medioevale?
«Se il vice presidente del Cnr dice questo, se il capo di un partito che sostiene in modo determinante il governo dice che i migranti devono andare “fora da i ball” e che possono essere tenuti lontani anche con il mitra e il presidente del consiglio continua a sostenere che quando ha chiamato alla questura di Milano credeva davvero che Ruby fosse la nipote di Mubarak, non torniamo all'oscurantismo medioevale. Ma al pre-medioevale, al preistorico. Siamo alle caverne. Di che Paese parliamo? Dove siamo?».

Lei cosa farebbe?
«Non voglio dimettermi da cittadino italiano, ma fino a dove potremo arrivare? L'opposizione dovrebbe abbandonare l'aula e lasciare che si facciano leggi da sé, fino a quando Napolitano si convincerà a sciogliere il Parlamento per mancanza di quasi metà di deputati. Ma non tutti sono d'accordo con questa ipotesi. Non lo faranno, forse perché in attesa della pensione».