domenica 12 dicembre 2010

Interrogazione sull'iniziativa Yasuni ITT nella prospettiva della lotta contro il cambiamento climatico

24 novembre 2010
O-0191/2010
Interrogazione con richiesta di risposta orale
alla Commissione
Articolo 115 del regolamento
Catherine Grèze, Ulrike Lunacek, José Ignacio Salafranca Sánchez-Neyra, Jean-Luc Mélenchon, Luis Manuel Capoulas Santos, Renate Weber, Nirj Deva, Luis Yáñez-Barnuevo García, Jean-Pierre Audy, Jürgen Klute, Helmut Scholz, Bernhard Rapkay, Constanze Angela Krehl, Rodi Kratsa-Tsagaropoulou, Antolín Sánchez Presedo, Sven Giegold, Raül Romeva i Rueda, Martin Häusling, Gianni Vattimo, António Fernando Correia De Campos, Bernadette Vergnaud, Oriol Junqueras Vies, Gesine Meissner, Dirk Sterckx, Gerben-Jan Gerbrandy, Ilda Figueiredo, Corinne Lepage, Nuno Teixeira, Antonyia Parvanova, Jean-Marie Cavada, Charles Goerens, Pavel Poc, Michael Cashman, Isabelle Durant, Rebecca Harms, Francisco Sosa Wagner, Véronique De Keyser, Jo Leinen, Thijs Berman, Damien Abad, Mariya Nedelcheva, Marie-Christine Vergiat

Oggetto: Sostegno all'iniziativa Yasuni ITT nella prospettiva della lotta contro il cambiamento climatico

L'iniziativa Yasuni ITT, lanciata dal governo ecuadoriano e riguardante un parco naturale considerato riserva mondiale dall'UNESCO, mira a finanziare il non sfruttamento del petrolio del sottosuolo di una zona che ospita una delle più grandi biodiversità mondiali. Inoltre, la zona è abitata da varie comunità indigene, tra cui i popoli Tagaeri e Taromenane che vivono in isolamento volontario.

La rendita petrolifera ecuadoriana rappresenta il 22,2% del PIL dell'Ecuador e il 63,1% delle esportazioni del paese. Il parco Yasuni racchiude 850 milioni di barili di petrolio, ossia il 20% delle riserve totali di petrolio del paese equivalenti a 7,2 miliardi di dollari all'esportazione. Il fondo fiduciario internazionale, istituito il 3 agosto 2010 e amministrato dal PNUD, mira a raccogliere l'importo succitato, per metà dello Stato ecuadoriano, per l'altra metà della comunità internazionale, al fine di investirlo nelle energie rinnovabili nonché nell'occupazione connessa con tali attività. Conformemente al principio consacrato dall'ONU "delle responsabilità comuni ma differenziate" (Dichiarazione di Rio sul cambiamento climatico - 1992), il progetto va considerato come un tentativo innovativo di cambiare il modello di sviluppo.

A seguito dei sostegni annunciati all'iniziativa Yasuni ITT, in particolare da Benita Ferrero-Waldner in veste di commissario europeo per le relazioni esterne il 6 marzo 2009, dalla Comunità andina il 5 febbraio 2010, dai capi di Stato e di governo dei paesi dell'America latina e dei Caraibi il 23 febbraio 2010, dal Consiglio europeo nella dichiarazione del vertice tra la Comunità andina e l'Unione europea il 19 maggio 2010, intende la Commissione sostenere politicamente e dunque finanziariamente l'iniziativa Yasuni ITT? È essa disposta a incoraggiare in tal senso gli Stati membri, le grandi città d'Europa, l'OCSE e tutta la comunità internazionale? È essa disposta, infine, a riflettere sulla valorizzazione e la realizzazione di progetti analoghi all'iniziativa Yasuni ITT nel suo territorio e in altre zone del mondo?

Quali misure può proporre la Commissione al fine di aiutare i paesi in via di sviluppo a salvaguardare le foreste nel rispetto delle popolazioni indigene? Quale meccanismo internazionale, flessibile e basato sull'originalità dei progetti, potrebbe essa presentare, fuori del quadro dell'aiuto allo sviluppo, dei Meccanismi di sviluppo pulito nonché di REDD e REDD+?

Lingua originale dell'interrogazione: FR


Interrogazione sulla libertà di espressione e discriminazioni sulla base dell'orientamento sessuale in Lituania

23 novembre 2010
O-0190/2010
Interrogazione con richiesta di risposta orale
alla Commissione
Articolo 115 del regolamento
Renate Weber, Sophia in 't Veld, Leonidas Donskis, Cecilia Wikström, Alexander Alvaro, Sonia Alfano, Gianni Vattimo, Baroness Sarah Ludford, Ramon Tremosa i Balcells, a nome del gruppo ALDE

Oggetto: Violazione della libertà di espressione e discriminazioni sulla base dell'orientamento sessuale in Lituania

Il 12 novembre 2010 il Parlamento lituano ha votato di procedere all'esame di una modifica del Codice amministrativo che istituisce un nuovo reato punibile con una multa(1) per la "promozione pubblica delle relazioni omosessuali"(2) e cerca di attuare la "Legge sulla protezione dei minori contro gli effetti nocivi della Pubblica Informazione "approvata il 14 luglio 2009, che vieta - nonostante sia stata due volte oggetto di veto dei Presidenti lituani, sia stata criticata dal Parlamento europeo(3), e condannata dalle ONG a difesa dei diritti umani e dalle organizzazioni LGBT - informazioni che potrebbero promuovere le relazioni sessuali o altri concetti come concludere matrimoni o creare una famiglia diversamente da quanto stabilito nella Costituzione o nel Codice Civile . La modifica limiterebbe seriamente la libertà di parola e di espressione, come sostenere pubblicamente o fare campagne per la parità, per i diritti LGBT, o contro la discriminazione basata sul sesso o sull'orientamento sessuale, ed è destinata ad applicarsi nei luoghi pubblici, compresi i media, e può essere applicata per impedire lo svolgimento dei Gay Pride LGBT. Il Parlamento lituano dovrebbe completare l'esame della modifica il 16 dicembre. Sono state presentate anche modifiche al codice penale che potrebbero essere esaminate a breve, mentre l'incertezza circonda una legge contenente il divieto di "manifestazione o promozione dell'orientamento sessuale" nella pubblicità, in quanto le autorità affermano che tale disposizione è un errore da correggere. La Commissaria ha dichiarato di aver "seguito attentamente gli sviluppi in Lituania per quanto riguarda la legge sulla tutela dei minori", e che "continuerà a vigilare su eventuali tentativi di utilizzare questo elemento di legislazione per discriminare le persone LGBT"(4). In una recente lettera ai deputati ALDE, la Commissaria ha confermato che la Commissione respinge fermamente ogni forma di omofobia, che è incompatibile con i valori sui quali si fonda l'Unione europea, e che il suo dipartimento analizzerà il progetto di testo legislativo e deciderà se sia opportuna un'ulteriore azione.

La Commissione è del parere che, se approvato, il progetto di modifica e la legge sulla pubblicità sono compatibili con i valori di cui all'articolo 2 del trattato sull'Unione europea e le libertà fondamentali garantite dal CFR e dalla CEDU, in particolare la libertà di espressione e di informazione e la libertà di riunione e con il divieto di discriminazione sulla base dell'orientamento sessuale? Che cosa intende fare la Commissione per esprimere la propria preoccupazione alle autorità lituane? Ove l'emendamento sia approvato, la Commissione avvierà una procedura di infrazione? La Commissione proporrà una strategia europea (tabella di marcia) sulla lotta contro l'omofobia e la discriminazione fondata sull'orientamento sessuale nell'Unione europea al fine di garantire che i diritti fondamentali siano tutelati, rispettati e promossi?

(1) da 2.000 a 10.000 Lita; 580-2.900 Euro
(2) No. XIP-2595, nuovo articolo 214 (30)
(3) http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P7-TA-2009-0019+0+DOC+XML+V0//EN
(4) Videomessaggio del Vicepresidente della Commissione europea rivolto ai partecipanti alla Conferenza Baltic Pride il 7 maggio 2010 a Vilnius, Lituania.
Lingua originale dell'interrogazione: EN

Interrogazione sui danni arrecati dallo storno all'agricoltura


26 novembre 2010
E-9815/2010
Interrogazione con richiesta di risposta scritta
alla Commissione
Articolo 117 del regolamento
Paolo De Castro (S&D) , Sergio Berlato (PPE) , Mario Pirillo (S&D) e Gianni Vattimo (ALDE)

Oggetto: Danni arrecati dallo storno (Sturnus vulgaris) all'agricoltura

Premesso:

che le popolazioni stanziali di storno (sturnus vulgaris), peraltro in costante e incontrollabile aumento numerico, sommate a quelle migratorie raggiungono densità rilevanti su molti territori dell'Unione europea, tali da comportare gravi e sempre più ricorrenti danni alle produzioni agricole e agli impianti produttivi;

che il prelievo venatorio della specie storno (sturnus vulgaris), è consentito ai sensi dell'Allegato II/2 della direttiva n. 409/79/CEE in diversi Stati dell'Europa come Portogallo, Spagna, Francia. Grecia e Ungheria;

che l'esclusivo e ricorrente ricorso al prelievo in deroga di specie di avifauna protette, come stabilito dall'articolo 9, lettera a) della citata direttiva n. 409/79/CEE, non può rappresentare un efficace strumento di prevenzione dei danni da storno alle colture agricole e che solo il reinserimento di tale passeriforme nell'elenco delle specie cacciabili può costituire adeguata soluzione del problema;

che il reiniserimento dello storno (sturnus vulgaris), tra le specie cacciabili, oltre alla finalità principale di prevenire i danni all'agricoltura risulterebbe utile anche ai fini di limitare la pressione venatoria su altre specie di maggior pregio,

intende la Commissione adottare misure e interventi a sostegno degli agricoltori danneggiati dalla presenza diffusa di tale passeriforme?

intende la Commissione procedere ad una modifica dell'Allegato II/2 della direttiva n. 409/79/CEE per consentire, agli Stati membri che ne facciano richiesta, il prelievo venatorio della specie storno (Sturnus vulgaris)?

ritiene opportuno la Commissione avviare tutte le procedure necessarie al reinserimento della specie storno (Sturnus vulgaris) nell'elenco delle specie cacciabili di cui all'Allegato II/1 della direttiva n. 409/79/CEE?


Interrogazione sulle basi dati sui Rom e discriminazione in Francia e nell'UE


12 ottobre 2010
O-0154/2010
Interrogazione con richiesta di risposta orale
alla Commissione
Articolo 115 del regolamento
Renate Weber, Nathalie Griesbeck, Sophia in 't Veld, Sonia Alfano, Cecilia Wikström, Louis Michel, Baroness Sarah Ludford, Gianni Vattimo, Leonidas Donskis, Alexander Alvaro, Niccolò Rinaldi, Ramon Tremosa i Balcells, Metin Kazak, Marielle De Sarnez, a nome del gruppo ALDE

Oggetto: Basi dati sui Rom e discriminazione in Francia e nell'UE

Il 29 settembre 2010 la Commissione ha dichiarato che avrebbe inviato alla Francia "una lettera di messa in mora nella quale si richiede la trasposizione integrale della direttiva (sulla libera circolazione), a meno che vengano forniti, entro il 15 ottobre 2010, progetti di misure di recepimento e un calendario dettagliato di attuazione" e un'ulteriore lettera contenente "domande dettagliate circa l'applicazione pratica delle garanzie politiche fornite" dalle autorità francesi in merito al fatto che esse "garantiscono appieno l'attuazione efficace e non discriminatoria della legislazione UE, nel rispetto dei trattati e della Carta dei diritti fondamentali dell'UE"(1), anche durante il periodo di applicazione della circolare del 5 agosto mirante esplicitamente all'espulsione dei Rom - e ciò nonostante il fatto che alcune ONG hanno fornito alla Commissione elementi di prova della natura etnica e razzista delle espulsioni e che il Parlamento europeo ha esortato la Commissione ad intervenire presso le autorità francesi anche per motivi di discriminazione.

Secondo informazioni recentemente apparse nei media, la gendarmerie francese gestisce una base dati chiamata "MENS"(2), dedicata prevalentemente ai Rom. Diverse ONG hanno presentato una denuncia per creazione di una base dati illegale e non dichiarata per la conservazione di "dati personali connessi all'origine razziale ed etnica" e hanno annunciato ulteriori ricorsi presso la Commissione nazionale per la protezione dei dati(3) e l'Alta autorità contro le discriminazioni e la parità(4), mentre le autorità francesi negano l'esistenza di tale base dati. In precedenza, il ministro per l'immigrazione aveva anche annunciato l'inserimento dei dati biometrici dei Rom espulsi nella base dati OSCAR(5); le basi EDVIGE/EDVIRSP(6)

sono in fase di creazione, e si riferisce che anche i Paesi Bassi e altri paesi dell'Unione europea stiano registrando dati di natura etnica e razziale, mentre l'Italia ha rifiutato ai Rom l'accesso ad alloggi sovvenzionati. In questo contesto, e senza averne informato il Parlamento, il Consiglio sta discutendo un progetto di conclusioni volte a colpire "i gruppi criminali mobili (itineranti)", nel quale viene utilizzata una terminologia ambigua.

La Commissione ha ricevuto le informazioni richieste dalle autorità francesi, nonché informazioni in merito all'esistenza di tali basi dati, alla loro natura, finalità, utilizzazione e conseguenze, in virtù del principio di leale cooperazione?

Quali iniziative intende adottare in relazione a ulteriori prove della discriminazione dei Rom e della violazione di norme nazionali ed europee sulla protezione dei dati, nonché rispetto alle informazioni ricevute dalle ONG sul trattamento discriminatorio e l'espulsione dei Rom in Francia e in altri Stati membri?

Di quali altre prove ha bisogno la Commissione per intervenire anche sulla violazione del divieto di discriminare in base alla razza e all'origine etnica?

Può la Commissione fornire informazioni sulle iniziative sui Rom attuate dall'UE e dalle istituzioni europee?

(1) http://europa.eu/rapid/pressReleasesAction.do?reference=IP/10/1207
(2) "Minoranze Etniche Non Sedentarie", controllata dall'Ufficio centrale contro la criminalità itinerante (OCLDI).
(3) CNIL.
(4) HALDE.
(5) In francese "Outil de Statistiques et de Contrôle de l'Aide au Retour", Strumento per le statistiche e il controllo dell'assistenza al ritorno, che conserva una fotografia digitale e dieci impronte digitali; l'esistenza di un'altra base dati (STIC-Canonge) che raccoglieva dati basati sull'appartenenza etnica e razziale era stata rivelata nel 2009 da una relazione parlamentare.
(6) Exploitation documentaire et valorisation de l'information générale / Exploitation documentaire et valorisation de l'information relative à la sécurité publique.
Lingua originale dell'interrogazione: EN

Il dibattito e la risposta della Commissione: http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?type=CRE&reference=20101019&secondRef=ITEM-017&language=IT

Interrogazione sul programma di controllo delle transazioni finanziarie dei terroristi


15 ottobre 2010
E-8327/2010
Interrogazione con richiesta di risposta scritta
alla Commissione
Articolo 117 del regolamento
Sophia in 't Veld (ALDE) , Alexander Alvaro (ALDE) , Renate Weber (ALDE) , Sonia Alfano (ALDE) , Gianni Vattimo (ALDE) , Louis Michel (ALDE) e Baroness Sarah Ludford (ALDE)

Oggetto: Garante ad interim e permanente del programma di controllo delle transazioni finanziarie dei terroristi
L'8 luglio 2010 il Parlamento europeo ha approvato l'accordo tra l'Unione europea e gli Stati Uniti d'America sul trattamento e il trasferimento di dati di messaggistica finanziaria dall'Unione europea agli Stati Uniti ai fini del programma di controllo delle transazioni finanziarie dei terroristi. La risoluzione legislativa del Parlamento invitava «la Commissione, ai sensi dell'articolo 8 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che stabilisce che i dati personali siano soggetti al controllo di “un'autorità indipendente”, a presentare quanto prima al Parlamento europeo e al Consiglio una rosa di tre candidati tra cui sarà scelta la personalità indipendente che svolgerà per conto dell'Unione europea il ruolo di cui all'articolo 12, paragrafo 1, dell'accordo», precisando che «la procedura deve essere, mutatis mutandis, la stessa seguita dal Parlamento europeo e dal Consiglio per la nomina del garante europeo della protezione dei dati di cui al regolamento (CE) n. 45/2001 recante applicazione dell'articolo 286 del trattato CE» (http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?type=TA&language=IT&reference=P7-TA-2010-0279#def_1_3#def_1_3).

Il 27 agosto la Commissione europea ha annunciato la nomina di un garante indipendente ad interim. Il 29 luglio la Commissione ha pubblicato un invito a presentare le candidature per la posizione permanente di garante ai fini del programma di controllo delle transazioni finanziarie dei terroristi e ora sta esaminando le candidature ricevute. Tuttavia, la Commissione, per «motivi di sicurezza» ha deciso di tenere segreto o confidenziale il nome del garante ad interim. Inoltre, la Commissione non ha applicato la procedura richiesta dal Parlamento, affermando che, in ragione della delicatezza della materia e della necessità di proteggere la riservatezza del nome della persona designata per motivi di sicurezza, avrebbe tenuto informato il Parlamento ai sensi degli accordi specifici sulla trasmissione delle informazioni riservate, come stabilito nell'accordo quadro tra istituzioni UE.

Può la Commissione indicare la base giuridica che giustifica il vincolo di riservatezza sull'identità di un funzionario pubblico comunitario, ad interim o permanente, preposto a controllare l'attuazione del programma di controllo delle transazioni finanziarie dei terroristi? Esistono precedenti di decisioni o accordi analoghi?


E-8327/10IT

E-8410/10IT

Risposta di Cecilia Malmström

a nome della Commissione

(3.12.2010)

Come la Commissione ha già precisato in numerose occasioni, il nome del garante per l'attuazione dell'accordo TFTP (trattamento e trasferimento di dati di messaggistica finanziaria), sia per la carica ad interim che permanente, deve essere protetto per salvaguardare la privacy, l'integrità e la sicurezza della persona interessata. Pertanto, il nome della persona che ha accesso a informazioni particolarmente sensibili riguardanti il funzionamento del programma TFTP e le ricerche individuali effettuate non possono essere resi pubblici.

Questo in conformità alle disposizioni del regolamento (CE) n. 45/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2000, concernente la tutela delle persone fisiche in relazione al trattamento dei dati personali da parte delle istituzioni e degli organismi comunitari, nonché la libera circolazione di tali dati[1].

Si ricorda, tuttavia, agli onorevoli parlamentari che la Commissione ha comunicato il nome del garante ad interim ai coordinatori del gruppo della commissione competente della Camera.



[1] GU L 8 del 12.1.2001.

sabato 11 dicembre 2010

Ideologie italiane 1950-2000: intervista


Italienische Literatur und Kultur (HS 2010)

Gianni Vattimo

Ideologie italiane 1950-2000

Gianni Vattimo e la sua filosofia alla Cattedra De Sanctis

Intervista del 22 ottobre 2010 per RSI 2 "L'attività culturale" (Luca Bernasconi)

Tolleranza è relativismo


L'espresso, 16 dicembre 2010

Tolleranza è relativismo

Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe che Pascal contrappone così nettamente al Dio dei filosofi è davvero l’“unico” Dio? Certo così lo pensava Pascal. Ma non è detto che, nel suo razionalismo, avesse davvero ragione. La tradizione ebraica e poi quella cristiana, e così quella musulmana, sono certamente monoteistiche. Ma proprio il monoteismo ha sempre creato loro molte difficoltà nel praticare la carità: se Dio è uno solo, caratterizzato dall’unità del primo principio tanto caro ai filosofi greci, non dovrà la società impedire la predicazione dell’errore e costringere i singoli a professare, per il loro bene, la sola verità?
La tolleranza è sempre parsa pericolosamente vicina al relativismo. E oggi l’insistenza del Papa nella condanna di questo “errore” - mai tanto centrale, in passato, nella lotta dei cristiani contro gli dei pagani, “falsi e bugiardi” ma non certo “relativi” - è segno che il multiculturalismo delle società tardo-moderne non riesce più a convivere con l’idea dell’unicità della verità. E svela il carattere violento e autoritario di questa idea. Chi ha davvero bisogno di un Dio unico, se non qualche autorità che pretende di comandare in suo nome?
Un filosofo come Heidegger ha parlato del divino e degli “dèi” al plurale, non certo per dichiararsi politeista, ma semmai per riconoscere il carattere di mito storico che appartiene anche alla divinità in cui crediamo. Con il divino possiamo entrare in rapporto solo se ne accettiamo l’insuperabile essenza mitica: di racconto, di simbolo, che cade fatalmente sotto i colpi di qualunque “matematico impertinente” quando vuole valere come unico e supremo principio razionale.
Né per recitare il Padre nostro, né per ascoltare le parole di Gesù nel Vangelo, abbiamo bisogno che Dio sia il Dio unico dei filosofi e dei matematici. Come predicava Nietzsche: ora che questo Dio è morto (con il colonialismo e l’imperialismo), vogliamo che vivano molti dèi. E non necessariamente con i tratti di Gengis Khan.
Gianni Vattimo

È globale l'assedio ai diritti umani

È globale l'assedio ai diritti umani

Contro gli ottimisti che giurano sullo sviluppo automatico

La Stampa - TuttoLibri, 4 dicembre 2010

Non è certo un libro di lettura “comoda”, l’ultimo lavoro di Danilo Zolo, Tramonto globale. La fame il patibolo la guerra (Firenze University Press, Firenze, 2010, pp. 226, euro 17,90), ma per molteplici ragioni è il testo che ci sentiamo di raccomandare più di tutti, in questo momento in cui non sappiamo più bene in che mondo viviamo. Per esempio: non sappiamo se davvero stiamo in Afganistan per garantire la pace e i diritti umani, per difenderci (come membri della Nato) dalle minacce del “terrorismo internazionale” e per condurre una “guerra umanitaria”, e cioè giusta e meritevole di ogni sacrificio anche finanziario ai danni della nostra scuola e della nostra previdenza sociale.

I tre termini che fanno da sottotitolo, fame, patibolo, guerra, non sono scelti a caso, per suscitare orrore emotivo verso questi cavalieri dell’Apocalisse. Sono i fenomeni che, secondo Zolo, giustificano il suo pessimismo, enunciato esplicitamente nella introduzione: “L’ottimismo è viltà. Il pessimismo è coraggio”. Da studioso di scienze politiche (professore a Firenze e in varie università straniere) e anche da osservatore “impegnato” della storia contemporanea, Zolo – che si richiama molto frequentemente a Bobbio e al suo L’età dei diritti, senza però dimenticare la lezione di Carl Schmitt – dedica le tre sezioni del libro ai temi che sono stati al centro di quella riflessione di Bobbio, e cioè a un bilancio dei diritti umani, dello sviluppo della democrazia e del destino della pace, nel mondo in cui viviamo e che, secondo gli ottimisti, non necessariamente vili, in virtù della globalizzazione, avrebbe finalmente la possibilità concreta di realizzare quei valori.

Proprio la globalizzazione, invece, non solo non garantisce quegli sviluppi positivi che gli ottimisti si attendevano, ma ne minaccia in modo fatale la realizzazione dei diritti. “Oggi le venti persone più ricche del mondo dispongono di una ricchezza complessiva pari a quella del miliardo più povero” (p. 111, che richiama molti studi sul tema di Luciano Gallino).

E non si tratta solo di differenze percentuali, che potrebbero messere mitigate dall’aumento della ricchezza complessiva. “La verità è che le spese militari,le vittime civili dei conflitti e le morti per denutrizione sono aumentate negli ultimi due decenni in tragica sintonia” (p. 17): Joseph Stiglitz, ricorda Zolo, ha calcolato che in questo periodo sono aumentate di almeno cento milioni le persone che vivono in estrema povertà, mentre il reddito mondiale globale cresceva del 2,5% all’anno.

Ma come, non lo sapevamo già, tutto questo? Certo che sì, le statistiche su cui lavorano Zolo, Stiglitz, Gallino sono pubbliche; noi stessi ne leggiamo spesso nei giornali, ce lo dice persino la televisione. Non possiamo certo pensare a un immane complotto, del tipo di quello satireggiato dall’ultimo romanzo di Umberto Eco. Solo che per Zolo è ancora più difficile credere che la globalizzazione sia un processo avvenuto da sé, per lo sviluppo casuale di forze anonime (scoperte, nuove tecnologie, ecc.). Essa è l’esito delle scelte consapevoli delle maggiori potenze del pianeta, che, dando via libera alla concorrenza globale in nome di una dogmatica fede (non certo disinteressata) nel mercato, costringono gli stati nazionali a limitare i diritti dei lavoratori, a tagliare la spesa sociale, a aumentare le spese militari.

Naturalmente, gli ottimisti credono alla tesi dello sviluppo automatico della globalizzazione (così un sociologo come Bauman, citato da Zolo) e sono convinti che essa determinerà una diffusione di democrazia, pace, diritti, proprio per i suoi benefici effetti economici. Questi teorici, western globalists come Zolo ci insegna a chiamarli, includono nelle loro file pensatori del calibro di Juergen Habermas, Amartya Sen, Ralph Dahrendorf, oltre a Bauman, a Michael Walzer, Michael Ignatieff, Ulrich Beck. E’ utile fare questi nomi perché sono l’élite del progressismo democratico. Le cui aspettative sono tragicamente smentite appunto da realistico bilancio di Zolo, che proprio in questo realismo si mostra vero discepolo dell’ultimo Bobbio.

Se l’esplosione delle diseguaglianze economiche smentisce le speranze nella globalizzazione, il riconoscimento dei diritti umani è sempre più pesantemente minacciato dalla diffusione delle pretese universalistiche del common sense morale occidentale che, implicitamente per molti ed esplicitamente per alcuni come Walzer, non ha bisogno di giustificazioni, è l’etica universale tout court (vedi p. 162). A cui ricorrere per decidere su guerre giuste, azioni di polizia internazionale, interventi umanitari richiesti o anche no dalle Nazioni Unite, e gestiti sempre più autonomamente dalla Nato. Anche sul tema della pace, perciò, il nostro mondo ormai, e per ora, unipolare, è molto meno sicuro che ai tempi della Guerra fredda.

Zolo non pretende ovviamente di suggerire ricette contro questo tramonto globale delle nostre speranze. Si spinge solo a dire che se l’Europa riuscisse a diventare un vero soggetto politico autonomo, anzitutto dagli Stati Uniti, potremmo sperare in una più vivace multipolarità, magari un po’ più conflittuale ma capace di risvegliarci dal letargo e riaprire le finestre del futuro.

Gianni Vattimo

Non sono solo cartoline

Recensione apparsa su L'espresso, 3 dicembre 2010

Non sono solo cartoline

Le cartoline - intorno alle quali c'è un fiorente collezionismo - sono solo arte minore che merita al massimo l'attenzione riservata al documento d'epoca o alla memoria soggettiva, di famiglia? Si tratta di qualcosa che ricade quasi completamente nel terreno del souvenir - gondole veneziane, duomi di Milano in marmo, magari busti di Lenin o teste di Mussolini? Abbiamo sempre sospettato che non si tratti solo di questo, e da molti anni ormai Enrico Sturani, il massimo studioso italiano del genere che egli stesso chiama "cartolinesco", con i suoi lavori, dei quali l'ultimo libro è come il coronamento, offre significative ragioni per andare oltre una prospettiva così limitata.
Del resto, i suoi studi possono a giusto titolo inserirsi in quella tendenza della critica novecentesca che è venuta via riscattando tante espressioni artistiche considerate minori o addirittura puro prodotto commerciale (dalla fotografia al cinema alla musica pop o al fumetto) elevandole alla dignità di temi di studio accademico. Le cartoline che Sturani raccoglie e analizza in questo affascinante volume ("Cartoline", Barbieri, pp. 417, euro 37) sono certo anche significativi documenti d'epoca: pensiamo alle prime cartoline pubblicitarie di inizio Novecento, o a quella di propaganda politica dei tempi del fascismo e delle due guerre mondiali.
Ma l'intento dell'autore, è soprattutto analizzare e presentare criticamente un capitolo della storia dell'arte che merita di essere considerato nella sua specificità. Per i suoi legami con le trasformazioni sociali e tecnologiche che vi si riflettono, ha un ruolo di interlocutore attivo nel dialogo con la pittura "maggiore", specie in relazione all'avanguardia; e al pubblico dei fruitori d'arte e alla teoria offre spunti decisivi per il ripensamento dello stesso senso dell'esperienza estetica nel mondo contemporaneo.

Gianni Vattimo

Fini-ta


Un mio post sul sito dell'Italia dei Valori, 7 dicembre 2010

Fini alla Camera vota la riforma dell’università – “la migliore delle riforme della legislatura”, ha osservato – e la riforma passa. Naturalmente, ciò non impedisce a Fli di votare la sfiducia al governo, dopo un’estate rovente di attacchi indecenti allo stesso Fini, e di presentarsi quale nuovo campione della legalità, della sobrietà, della giustizia. Apprendiamo che Fli valuta l’astensione sulla riforma della giustizia. E anche ciò non impedirà di votare la sfiducia. Chi non la vota è fuori, tuona Granata. Immaginiamo le risate dall’estero: i corrispondenti non avranno, temiamo, la pazienza di ripercorrere tutti i distinguo, le posizioni sfumate, gli interessi taciuti che animano questa travagliata stagione del centrodestra.
Abbiamo tutti intravisto nell’agire di Fini, nei mesi passati, un’occasione propizia per denunciare gli intollerabili soprusi di un governo solo fintamente democratico. E forse alcuni di noi si sono persino illusi che Fini rappresentasse, seppure in discontinuità con il passato recente (ma meglio tardi che mai, come spiega sempre Travaglio), una ventata di ossigeno nello smog generale creato da B. Sono tanti i motivi per i quali Fini garantisce il suo sostegno alla riforma dell’università. Alcuni solo ipotetici: è probabile, ad esempio (mi stupirei del contrario), che l’ex leader dell’Msi non capisca quasi nulla in materia. E forse non ne capiscono nulla nemmeno i FLIniani che sono saliti sui tetti. È altrettanto probabile che Fini si senta in dovere di non contraddire Confindustria, accanita sostenitrice della riforma. È però pressoché impossibile che Fini possa dichiarare con sincerità che si tratta della migliore riforma della legislatura. Delle due l’una: Fini sa che si tratta dell’unica vera riforma finora approvata; l’argomento è tautologico. Oppure, Fini sa quali interessi sta difendendo nel promuovere la riforma (tutti tranne quello pubblico, per dirla brevemente; e tra quei tutti, i più beceri in particolare), e soffre di quello stesso sdoppiamento della personalità di cui ha dato prova con le sue recenti posizioni in materia di diritti civili e sociali, in netto contrasto con le due leggi alle quali ha apposto il suo nome (immigrazione, droga).
Siamo certi che, nel giro di poco tempo, Fini si accorgerà dell’assurdità della decisione presa. Questa volta, però, non potremo dirgli “meglio tardi che mai”. Anche perché una novità positiva di questi, recentissimi, tempi, è rappresentata dagli studenti che hanno occupato i principali monumenti italiani e dai ricercatori saliti sui tetti degli atenei. Gli studenti veri, quelli che non sono rimasti a casa a studiare; quelli che hanno capito che in una democrazia bloccata, occorre una certa misura di “sovversivismo democratico”; quelli che vedendosi bloccato il futuro, come hanno scritto alcuni di loro, hanno bloccato le città. Per una volta, l’Italia si è ringiovanita. Andiamo avanti, con un ambiguo “alleato” in meno e un forte esempio da coltivare e imitare.

Gianni Vattimo
http://italiadeivalori.antoniodipietro.com/articoli/politica/finita.php

lunedì 22 novembre 2010

Teheran parte seconda


Altro post sul blog de Il Fatto quotidiano, 21 novembre 2010

Teheran, parte seconda


Ho letto i tanti commenti giunti sul blog al mio post sul World Philosophy Day (WPD) a Tehran. In molti mi chiedevano di specificare cosa avrei detto al congresso. Su La Stampa di ieri, è riportata una parte – quella più strettamente filosofica – del mio intervento. Trascrivo qui di seguito per i lettori de Il Fatto Quotidiano l’introduzione, di natura politica, che farò precedere al mio discorso, intitolato “Universalismo, verità, tolleranza”. Lo faccio nella speranza di suscitare reazioni sul merito della riflessione e sulla proposta politica in essa contenuta (come avvenuto ad esempio in una discussione con Eco su queste tematiche), anziché commenti ispirati all’insensata equiparazione della critica delle politiche del governo israeliano e del sionismo all’antisemitismo, magari conditi da attacchi al sottoscritto (si veda, se proprio necessario, la reazione di Volli al mio post su ilfattoquotidiano.it). Sono certo consapevole della contraddizione, che in molti hanno notato, tra l’accettazione dell’invito di Tehran e il boicottaggio della kermesse israeliana (prima, ed egiziana poi) al Salone del Libro di Torino. Ma è poi tale? Forse no. Entrambe le questioni sono non solo culturali, ma anche politiche. E nel caso del Salone del Libro, che i paesi occidentali (l’Italia, poi…) – e non i loro intellettuali – non perdano occasione per ribadire il proprio sostegno alle decennali pratiche imperialistiche del governo israeliano, prendendo accordi con quest’ultimo per organizzare un evento – in Occidente, non a Tel Aviv – che inevitabilmente finisce per mortificare la causa legittima e colpevolmente trascurata dei Palestinesi, è a mio parere poco accettabile. O comunque, sembra imporsi una scelta, quella che appunto descrivo qui sotto. Un mondo multipolare ha le sue esigenze.


Universalismo, verità, tolleranza

Sono pienamente consapevole dell’onore che mi avete tributato invitandomi al World Philosophy Day. Sono già stato a Teheran anni fa, quando il presidente Katami invitò l’Accademia della Latinità, della quale sono uno dei due vicepresidenti. Oggi sono qui in altra veste: quella di filosofo, e quella di deputato del Parlamento europeo. Sono essenzialmente due le ragioni per le quali ho deciso di accettare l’invito a Teheran: il mio impegno professionale per la filosofia, e il mio impegno politico per promuovere la causa della rivolta internazionale contro l’imperialismo statunitense. Il conflitto fondamentale che caratterizza il mondo odierno è di duplice natura, filosofica e politica, e riguarda le politiche di una potenza economica e militare che pretende anche di rappresentare la ragione e i diritti umani, agitati in nome di una sorta di missione divina. Sapete perfettamente cosa questa pretesa significhi in termini di oppressione di popoli e interventi offensivi nei domini riservati degli stati. Benché non possa dire di condividere, filosoficamente e politicamente, le posizioni ufficiali del governo iraniano e di molti intellettuali del vostro paese, ho deciso di schierarmi in favore della lotta dei tanti popoli che, come quello iraniano, e quelli di paesi latino-americani come il Venezuela, Cuba, la Bolivia e il Brasile, si stanno ribellando al potere della polizia internazionale capeggiata dagli Stati Uniti. Posso ovviamente esprimere le più ampie riserve su molte posizioni ufficiali del governo iraniano: la pena di morte (che è tuttavia pratica corrente nella cosiddetta capitale della democrazia, gli Stati Uniti), ma anche (quella che a me appare come) la forte commistione tra la religione ufficiale dello stato e il diritto civile, che invece dovrebbe a parer mio garantire tutte le scelte morali e filosofiche dei cittadini, e tra queste una maggiore libertà d’insegnamento nelle scuole e nelle università, ma anche l’assenza di persecuzioni nei confronti dell’omosessualità e in generale di tutti gli orientamenti sessuali. Potrei ricordare molti altri punti di dissenso che sono propri anche dell’opinione pubblica occidentale, sebbene quest’ultima sia fortemente influenzata dalla propaganda imperialista e persino sionista. Ciononostante, in nome della causa comune contro l’imposizione soffocante del consenso di Washington, scelgo volutamente di rimandare l’esame delle tante questioni di libertà appena ricordate. Ben sapendo che anche nel mio “mondo libero”, molte delle libertà che spesso invochiamo per i cittadini iraniani non sono rispettate. Quello che mi ripropongo di fare, d’ora in poi, è contribuire, per quanto mi è possibile, alla lotta per realizzare queste libertà sia nel mio mondo occidentale sia nel vostro, ben consapevole del fatto che molti di coloro che in Occidente pretendono di difendere e affermare i diritti umani sono in realtà alleati dell’oppressore. Menziono per tutti gli pseudo-democratici sostenitori dello stato d’Israele, che è oggi uno dei più orribili esempi, ipocrita, di aggressione militare contro quegli stessi diritti.

Partorire idee e bambini


Partorire idee e bambini

L'espresso, 25 novembre 2010

Neppure Hannah Arendt, una delle grandi donne filosofe del nostro tempo, che ha opposto alla centralità dell’"essere per la morte" di Heidegger il concetto di natalità, sembra aver colto tutta la portata filosofica di quell’elementare evento originario che è il partorire. Francesca Rigotti, che insegna filosofia nella università di Lugano, vede anche in fatti come questo, tra i tanti che costellano tutta la storia del pensiero occidentale, il segno che la filosofia,m entre ha dedicato tanta attenzione alla nozione di creatività, non ha mai saputo collegarla al fatto elementare del parto. Dimenticando anche l’origine delle tante metafore che adoperiamo per parlarne, a cominciare dal termine "concetto": qualcuno si ricorda che è il prodotto di un concepimento? Certo si dice che una mente è “feconda”, che un’idea è “partorita”, ma persino quando si parla del parto nel senso letterale si fa attenzione soprattutto a chi nasce, non alla partoriente, eppure la nascita è una faccenda che impegna due soggetti, non solo chi viene al mondo. In realtà, pensa l’autrice, la cultura occidentale maschilista ha espropriato la donna anche di questo “primato”. Spesso pensando che le donne sono meno creative – in termini di opere d’arte, di sistemi filosofici, di fondazione di stati – perché per loro la creatività si esercita e si esaurisce tutta nell’essere madri. Ma non solo – come mostrano tanti esempi che il libro ricorda – una donna può fare figli e produrre opere; ma dall’esperienza del partorire, non obliata, possono nascere opere ben altrimenti originali e “creative” di quelle a cui ci ha abituati la cultura maschilista.

Gianni Vattimo

Francesca Rigotti, Partorire con il corpo e con la mente, Bollati Boringhieri, Torino, pp. 178, € 16.

venerdì 19 novembre 2010

Contro i danni dell'imperialismo


Quello che segue è uno stralcio del mio intervento al World Philosophy Day a Tehran, 21-23 novembre, pubblicato oggi su La Stampa, con il titolo "Contro i danni dell'imperialismo". Ho già descritto le ragioni che mi spingono a parteciparvi, nonostante le polemiche (si veda l'articolo di Maurizio Assalto questa mattina su La Stampa), in un precedente post su questo blog.


Universalismo, verità, tolleranza

Il punto che intendo proporre oggi qui, sapendo che è di intensa attualità per la filosofia e la politica che ci riguardano tutti, è che la questione dell’universalismo e della verità non può essere risolta da un punto di vista esclusivamente teoretico. Il terzo termine del titolo del mio intervento si riferisce proprio a questo. In un saggio che io qui assumerò come guida per la mia discussione (Solidarietà o oggettività?), Richard Rorty ha tentato di rintracciare le origini dell’universalismo filosofico in un preciso momento della storia del pensiero greco, quando cioè la polis aveva cominciato a espandere i propri commerci al di là dei confini in cui prima era abituata a svolgerli. In questo momento la filosofia greca iniziò a interessarsi del problema di come esprimere posizioni capaci di ottenere il consenso anche di coloro che non erano cittadini delle poleis greche, cercando dunque di porre le basi di una sorta di dominio non violento su tali popoli.

Senza discutere qui della validità di questa ipotesi di Rorty, dobbiamo ricordare che tutti noi cultori di filosofia ci siamo abituati a considerare questa “scoperta” dell’universalità come una tappa positiva nel progresso verso la civilizzazione e l’umanizzazione. Ancora oggi, pensatori di tutto rispetto come Apel o Habermas, ritengono che non sia possibile fare una qualche affermazione vera senza rivendicare, almeno implicitamente, la sua validità erga omnes. E questo omnes si riferisce non solo a coloro che giocano il nostro gioco linguisico o ai nostri concittadini: ma all’umanità in generale, rispetto alla quale la nostra affermazione rivendica la propria validità in nome della ragione stessa.

Ma nella condizione attuale che Heidegger ci ha insegnato a chiamare la fine della metafisica e che Nietzsche descrive come l’avvento del nichilismo, proprio questo appello alla validità universale è diventato sommamente sospetto. Abbiamo imparato a domandare chi è che parla, senza lasciarci spaventare dalla pretese che sia la ragione stessa. Nel mondo della fine del metafisica, ogni pretesa di universalismo deve fare i conti con il fenomeno della globalizzazione, che i filosofi non possono limitarsi a osservare da fuori: e ciò perché la storia e la crisi dell’imperialismo e del colonialismo occidentale hanno oggi una rilevanza filosofica decisiva. Non esageriamo se pensiamo che anche l’universalismo delle filosofie, anche di quelle che sorgono e si affermano al di fuori della tradizione europea, è uno dei danni collaterali prodotti dall’imperialismo occidentale. È come se l’Occidente, con la sua pretesa di parlare in nome della Ragione stessa, avesse contaminato anche altre culture, spianando la strada a una lotta tra diverse pretese di verità assoluta. In Italia abbiamo a tal riguardo un motto paradossale ma non troppo: “grazie a Dio, sono ateo”. Che potrei tradurre così: proprio perché sono cristiano non credo alla verità. La sola verità universale che la filosofia ha da offrire al mondo è quella che si incontra nel Vangelo, là dove Gesù, interrogato su come riconoscere il Messia al momento del suo ritorno alla fine dei tempi, risponde esortando a non credere a chi dice eccolo qui, eccolo là; senza dare alcuna altra indicazione positiva. Non è molto, ma può avere un decisivo significato liberante.

Gianni Vattimo

domenica 14 novembre 2010

Gianni Vattimo: "Com'ero felice nella mia soffitta"

Gianni Vattimo: "Com'ero felice nella mia soffitta"

«Continuo a dire le stesse cose del ‘99, nel frattempo il Pd mi ha cacciato: sono cambiato io o loro?»

La Stampa, Torino, 14.11.2010. Intervista di Niccolò Zancan

Professor Vattimo, perché la politica torinese sembra impantanata?
«Il problema è che Chiamparino è difficile da sostituire. È un bravo sindaco, molto popolare. Quindi tutti stanno tergiversando, ma non mi sembrano lotte di potere drammatiche».

Qual è il suo candidato ideale?
«Di sicuro non uno del Pd. Chiederei a Marco Revelli, un sinistrorso che conosce bene la città. Perché no?».

Profumo o Fassino?
«Tutto sommato preferirei ancora Fassino, che è un politico. Ma sottolineo ancora, nel senso di extrema ratio».

Coppola o Ghigo?
«Ghigo. Se non altro, lo conosciamo già. Certo ha tutti i limiti di un destrorso».

Lo sa che è rimasto quasi solo più lei a parlare continuamente di destra e sinistra?
«Io la guardo da un punto di vista culturale. Questa distinzione non è mai sparita. La destra è naturalista, la sinistra culturalista. In questo senso: la sinistra vuole correggere volontariamente le differenze naturali che ci sono fra le persone, mentre la destra vuole sfruttarle. Il punto cruciale è sempre lo stesso: cercare di dare eguali condizioni di partenza».

Com’è essere un omosessuale a Torino?
«Se sei un giovane, stai facendo carriera e hai bisogno di approvazione, non è ancora tanto facile. Come direbbe il professor Catalano: è sempre meglio essere ricchi che poveri. Uno già sistemato, se ne può infischiare dei commenti e dei pregiudizi. Gli altri restano ricattabili, quindi soffrono. E soffrono anche per le battute di Berlusca...».

Cosa le piace di Torino?
«Il vecchio centro storico, ci passo la vita e ci starei sempre. È diventato molto bello. Il che spiega il mio favore verso il sindaco attuale, anche se è più di centrodestra che di centrosinistra, anche se è troppo ragionevole, è stato davvero un ottimo sindaco. Ora ci vorrebbe il suo gemello».

Qual è un posto della città dove è stato felice?
«Via Mazzini 52, la mia soffitta. Eravamo calati dalla collina, io e il mio amico Giampiero. Avevamo una vita, ricevevamo amici e gruppi, il martedì di via Mazzini... Sono stato contento».

Cos’era il martedì di via Mazzini?
«Lasciavamo il portone aperto a tutti quelli che volevano venire a bere un bicchiere, professori e giovani scappati di casa. Era una piccola Arcore ma senza escort e senza forze dell’ordine. E soprattutto, purtroppo, senza orge».

Ora c’è un mucchio di gente che fa la sua vecchia battaglia contro gli eccessi della movida. Ha visto?
«Sono un profeta... Ricordo il gran casino di un capodanno in piazza Castello, fino alle sette di mattina».

Qual è la sua ricetta?
«Locali insonorizzati e un’educazione collettiva migliore. Quelli che fanno tutto questo chiasso sono dei barbari».

Cosa cambierebbe di Torino?
«La renderei più a misura di pedone. Certe volte mi sorprendo a cristonare quando cerco di attraversare la strada. E’ ancora una città troppo bucherellata, disordinata, cantierizzata, a tratti sembra bombardata. E poi c’è il problema dei mezzi pubblici».

Cioè?
«Certi pullman sono degli assassini puri. Dite al prossimo sindaco di prendere il 68 che va al cimitero verso l’ora di pranzo. Io lì sopra capisco cos’è la selezione naturale. Chi manca di molleggio è fregato, le vertebre sono a rischio, la schiena si spezza. Un calvario».

Dal punto di vista sociale?
«Bisogna tornare ad aprire le sezioni di partito nei quartieri. Non lasciare la gente davanti alla televisione. Ecco perché io trovo i No-Tav un movimento esemplare: gente che si impegna e si informa, si organizza e va. Bisogna smetterla di gridare governo ladro, è il momento di vedersi, discutere e tornare a ragionare».

Chi può prendere il posto di Bobbio e Galante Garrone?
«Io sono disponibile, ma nessuno mi prende sul serio. Scherzo... Credo che all’Università di Torino ci siano maestri da non buttar via».

È una città con meno fermento intellettuale?
«Mancano i vecchi laboratori informali. Posti dove discutere sul futuro di Torino. Ricordo le riunioni promosse da Marco Rivetti. Ora ci si confronta meno o forse non mi invitano perché sono diventato un estremista e non servo a niente. Oppure c’è meno vitalità, perché abbiamo avuto un sindaco di cui ci siamo fidati».

Come mai è diventato un estremista?
«Guardi, io sono sempre stato un cattolico di sinistra e non mi sento molto diverso, è cambiato il contorno. Io continuo a dire le stesse cose che dicevo nel ‘99, nel frattempo quelli del Pd mi hanno cacciato. La domanda è: sono cambiato io o sono cambiati loro?».

Giornata Mondiale della Filosofia a Tehran

Giornata Mondiale della Filosofia a Tehran

Lo confesso: sono uno dei filosofi invitati alla Giornata mondiale della Filosofia che annualmente si celebra per iniziativa dell’Unesco, e che quest’anno si svolge, oltre che in alcune altre capitali, in Iran, nelle giornate comprese tra il 21 e il 24 novembre. Circola intanto sul web una notizia secondo cui l’Unesco avrebbe ritirato la sua adesione alla giornata, con l’oscura ragione che, al momento della decisione di tenerla nella capitale iraniana, non sarebbero state fornite dal governo di Tehran sufficienti informazioni su tutti i particolari organizzativi. Ma, come si vede esplorando i vari siti relativi al “World Philosophy Day 2010”, la decisione, se tale è, di ritirarsi, l’Unesco l’ha presa solo sotto la pressione dei soliti paladini del “mondo libero”.

In Italia, è stata lanciato, pare da Reset (Bosetti, Amato), un boicottaggio della giornata di Tehran. Le solite ragioni, da ultimo anche la povera Sakineh; che è stata bensì condannata a morte, per l’assassinio del marito, ma che è ancora viva, mentre la povera disabile americana il cui caso è stato accostato a quello della signora iraniana, è stata democraticamente giustiziata pochi giorni fa senza che alcun sindaco di capitale occidentale abbia sentito il bisogno di affiggere su qualche Colosseo locale il suo ritratto in formato gigante. E intanto, chi difende e commenta enfaticamente la decisione del’Unesco di ritirarsi da Tehran è il cosiddetto filosofo Bernard Henri-Lévy, una specie di Fiamma Nirenstein (o Daniela Santanché? È pure bello) francese, apologeta a tutti i costi anche delle più criminali decisioni dello stato di Israele.

Riconosco nel cosiddetto imbarazzo dell’Unesco di fronte a una giornata di filosofia in Iran nulla più che la eco delle pressioni della Cia e del colonialismo sfrontato di Israele, che mentre stigmatizza Amadinejahd e vuole impedire ai filosofi di tutto il mondo di incontrarsi a Tehran con i colleghi iraniani, continua a calpestare senza scrupoli i diritti dei Palestinesi e tutte le delibere dell’Onu e di quella “comunità internazionale” di cui Bosetti e compagni pretendono di essere i portavoce. Anche per queste ragioni, per manifestare una volta di più lo sdegno e la rivolta contro l’ipocrita osservanza della disciplina poliziesca imposta dagli Stati Uniti e dai loro alleati (anche l’Italia di Berlusconi!), sarò a Tehran per il World Philosophy Day e mi auguro che i colleghi filosofi invitati abbiano la dignità di respingere il ricatto a cui qualcuno oggi cerca di sottoporli.

Gianni Vattimo

mercoledì 10 novembre 2010

An Ethics for Today



An Ethics for Today: Finding Common Ground Between Philosophy and Religion

Richard Rorty
November, 2010
Cloth, 104 pages,
ISBN: 978-0-231-15056-9
$17.95
/ £12.95
Introduction by Gianni Vattimo





Richard Rorty is famous, maybe even infamous, for his philosophical nonchalance. His groundbreaking work not only rejects all theories of truth but also dismisses modern epistemology and its preoccupation with knowledge and representation. At the same time, the celebrated pragmatist believed there could be no universally valid answers to moral questions, which led him to a complex view of religion rarely expressed in his writings.

In this posthumous publication, Rorty, a strict secularist, finds in the pragmatic thought of John Dewey, John Stuart Mill, Henry James, and George Santayana, among others, a political imagination shared by religious traditions. His intent is not to promote belief over nonbelief or to blur the distinction between religious and public domains. Rorty seeks only to locate patterns of similarity and difference so an ethics of decency and a politics of solidarity can rise. He particularly responds to Pope Benedict XVI and his campaign against the relativist vision. Whether holding theologians, metaphysicians, or political ideologues to account, Rorty remains steadfast in his opposition to absolute uniformity and its exploitation of political strength.

About the Author

Richard Rorty (1931-2007) was professor of comparative literature and philosophy at Stanford University. His Columbia University Press books are The Future of Religion (with Gianni Vattimo) and What's the Use of Truth? Gianni Vattimo is emeritus professor of philosophy at the University of Turin and a member of the European Parliament. His books include The Responsibility of the Philosopher; Christianity, Truth, and Weakening Faith: A Dialogue (with René Girard); Nihilism and Emancipation: Ethics, Politics, and Law; and After Christianity.

Firenze, in 1500 chiedono giustizia ed equità per chi manifestò contro la guerra nel 1999

Firenze, in 1500 chiedono giustizia ed equità per chi manifestò contro la guerra nel 1999


Crescono le adesioni: da Gino Strada a Paul Ginsborg, da Piero Pelù a Massimo Carlotto e Alfredo Zuppiroli

A due giorni dall’inizio del processo di appello ben 1500 firme , raccolte in una settimana, spingono l’appello per chiedere giustizia nei confronti dei 13 condannati a sette anni per aver manifestato contro la guerra in Kosovo nel 1999. Dopodomani, 5 novembre, si terrà infatti il processo di appello e tra le 1500 firme di cittadini e cittadine turbati per la esagerata sentenza di condanna di primo grado troviamo anche i nomi illustri di Gino Strada, fondatore di Emergency e dello storico inglese Paul Ginsborg, del cantante Piero Pelù e dello scrittore Massimo Carlotto, del sociologo Alessandro Pizzorno e di Vittorio Agnoletto.

[Firma anche tu qui http://bit.ly/d8q0VG]

A sottoscrivere il testo anche l’europarlamentare Gianni Vattimo, il giurista Danilo Zolo e i presidenti nazionali di Banca Etica e dell’Arci, rispettivamente Ugo Biggeri e Paolo Beni; il conduttore Rai Massimo Cirri, il presidente della Fondazione Michelucci Alessandro Margara e il presidente della Commissione di Bioetica della Regione Toscana e primario all’Ospedale S.M.Annunziata Alfredo Zuppiroli; Silvano Sarti, presidente dell’Anpi Firenze e Roberto Passini presidente del Comitato per la difesa della Costituzione. A fianco dei 13 imputati anche i sacerdoti Vitaliano della Sala e Andrea Bigalli; Maso Notarianni, direttore di Peacereporter, Aldo Zanchetta dell’omonima Fondazione, Alberto Ziparo del Comitato contro il sottoattraversamento Tav e Lore nzo Bargellini del Movimento di lotta per la casa.

Ad affiancare coloro che hanno promosso l’appello – tra i quali ricordiamo Alessandro Santoro, Andrea Satta, Angela Staude Terzani, Enzo Mazzi, Folco Terzani, Luigi Ciotti, Ornella De Zordo, Marco Vichi, Sandro Veronesi, Sergio Staino, Simona Baldanzi – anche molti amministratori locali, consiglieri regionali, comunali e di quartiere, direttori di siti e giornali on line, attivisti di associazioni in difesa dei diritti.

Il testo dell’appello

Il 5 novembre comincerà il processo di appello per i fatti avvenuti oltre dieci anni fa, il 13 maggio 1999, nei pressi del consolato statunitense di Firenze. Quel giorno migliaia di persone parteciparono a una manifestazione contro la guerra in Jugoslavia, che si concluse appunto sotto il consolato. Vi fu un breve concitato contatto fra le forze dell’ordine e i manifestanti, per fortuna senza conseguenze troppo gravi, se non alcuni manifestanti contusi, fra cui una ragazza che dovette essere operata ad un occhio. Nessuno, sul momento, fu fermato o arrestato, ma in seguito vi furono identificazioni e denunce. Si è arrivati così alle condanne di primo grado, molto pesanti per i 13 imputati: ben sette anni, per le accuse di resistenza aggravata a pubblico ufficiale. Nel dibattimento si sono confrontate le tesi – molto divergenti – delle forze dell’ordine e dei manifestanti.

Non intendiamo sindacare le procedure legali, né esprimere giudizi tecnico-giuridici sulla sentenza, ma ci pare che le pene inflitte in primo grado e le loro conseguenze sulla vita delle persone imputate, siano del tutto sproporzionate rispetto alla reale portata dei fatti. Non vi furono, il 13 maggio 1999, reali pericoli per l’ordine pubblico o per l’incolumità delle persone, e non è giusto – in nessun caso – infliggere pene pesanti, in grado di condizionare e stravolgere l’esistenza di una persona, per episodi minimi: perciò esprimiamo la nostra pubblica preoccupazione in vista del processo d’appello, convinti come siamo che la giustizia non possa mai essere sinonimo di vendetta e nemmeno strumento per mandare messaggi “esemplari” a chicchessia. Seguiremo il processo e invitiamo la cittadinanza a fare altrettanto, perché questa non è una storia che riguarda solo 13 persone imputate, ma un pass aggio significativo per la vita cittadina e per il senso di parole e concetti che ci sono cari, come democrazia, giustizia, equità.

I promotori

Alessandro Santoro, Comunità delle Piagge | Andrea Calò, consigliere provinciale | Andrea Satta, musicista, Tete de bois | Angela Staude Terzani, scrittrice | Beatrice Montini, Giornalisti contro il razzismo | Carlo Bartoli, giornalista | Catia di Sabato, rappresentante studenti universitari | Chiara Brilli, giornalista | Christian De Vito, ricercatore | Corrado Mauceri, Comitato per la difesa della Costituzione | Cristiano Lucchi, giornalista | Domenico Guarino, giornalista | Emiliano Gucci, scrittore | Enrico Fink, musicista | Enzo Mazzi, Comunità dell’Isolotto | Filippo Zolesi, Sinistra unita e plurale | Folco Terzani, scrittore | Francesca Chiavacci, consigliera comunale | Francesco di Giacomo, musicista Banco del Mutuo Soccorso | Francesco Pardi, senatore | Giuliano Giuliani e Haidi Gaggio Giuliani, genitori di Carlo Giuliani | John Gilbert, Statunitensi contro la guerra | Lisa Clark, Beati i costruttori di pace | Lorenzo Guadagnucci, Comitat o verità e giustizia su Genova | Luigi Ciotti, prete | Mauro Banchini, giornalista | Mauro Socini, presidenza Anpi Firenze | Marcello Buiatti, biologo | Marco Vichi, scrittore | Maria Grazia Campus, Comitato bioetica Regione Toscana | Maurizio De Zordo, Lista di cittadinanza perUnaltracittà | Miriam Giovanzana, Terre di mezzo | Moreno Biagioni Rete Antirazzista fiorentina | Ornella De Zordo, consigliera comunale | Paolo Ciampi, giornalista e scrittore | Paolo Solimeno, Giuristi democratici | Petra Magoni, musicista | Pietro Garlatti, rappresentante studenti universitari | Raffaele Palumbo, giornalista | Riccardo Torregiani Comitato fermiamo la guerra Firenze | Sandra Carpilapi, Sinistra unita e plurale | Sandro Targetti, Comitato No Tav | Sandro Veronesi, scrittore | Sara Vegni, Comitato 3 e 32 | Sergio Staino, vignettista | Simona Baldanzi, scrittrice | Ulderico Pesce, attore e regista | Vincenzo Striano, referente associazionismo.

L’appello è ancora attivo e può essere sottoscritto on line alla pagina http://bit.ly/d8q0VG.

(http://www.altracitta.org/2010/11/03/firenze-in-1500-chiedono-giustizia-ed-equita-per-chi-manifesto-contro-la-guerra-nel-1999/)

sabato 6 novembre 2010

Martiri cristiani e coscienze vaticane

Post dal mio blog su Il Fatto Quotidiano, 5 novembre 2010

Martiri cristiani e coscienze vaticane


Si annuncia davvero un secolo di persecuzioni contro i cristiani, come scrivono osservatori anche politicamente corretti, per esempio il vaticanista de La Stampa, Galeazzi? Accade anche in terre e regioni dove una lunga convivenza, non sempre pacifica ma per lo più non sanguinaria, tra cristiani, musulmani, ebrei, atei e pagani vari, era durata fino a poco tempo fa. Non solo: l’Iraq, dove adesso si spara ai fedeli riuniti nelle chiese, era uno dei paesi più laici di tutto il Medio Oriente. Difficile non pensare che qualcosa sia cambiato di recente in quei territori, tanto da riaprire la storia del martirologio cristiano. Che cosa sia cambiato non può sfuggire a nessuno: si tratta di un altro effetto collaterale della guerra “umanitaria” in cui le bugie di Blair e di Bush ci hanno piombato da anni.

Possiamo dire che se il Papa non avesse manifestato così spudoratamente la sua scelta pro-Stati Uniti, ricevendo con tutti gli onori in Vaticano il presidente Bush, e non mostrasse continuamente la propria soggezione al Washington consensus (politico ed economico), salvo i rituali lamenti sulla pace nell’Angelus della domenica, forse le sorti dei cristiani e dei sacerdoti in Medio Oriente non avrebbe avuto questa svolta drammatica, e molte vite si sarebbero salvate? Alle bugie originarie di Blair e Bush (e Berlusconi: i nostri servizi hanno volonterosamente aiutato con le balle sull’uranio del Niger) si aggiungono in questi giorni (4 novembre, Forze armate…) quelle ancora più palesemente incredibili delle nostre autorità nazionali. Siamo in giro per il mondo, lontanissimi da casa, per “difendere la pace”, in nome di un trattato che ci obbligava a difendere il Nord Atlantico dagli attacchi del Patto di Varsavia, nel frattempo felicemente scomparso. Ci stiamo difendendo da qualche tipo di “terrorismo internazionale”, oppure stiamo stimolando questo terrorismo, e anzitutto quell’odio anticristiano che sta creando nuovi martiri?

Non accade forse, a livello internazionale, ciò che succede, in ben altre proporzioni, a livello nazionale? Non è cioè la politica del Vaticano che crea dal nulla quella “persecuzione” anticristiana che oggi fa parlare di nuovo di martiri? Né nel mondo musulmano (con il Corano che guarda anche a Gesù e a Maria), né nel nostro Paese ancora fin troppo bigotto, c’è chi davvero abbia in odio il Vangelo e i suoi insegnamenti. Possibile che in Vaticano nessuno si senta la coscienza sporca?

Gianni Vattimo
http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/11/05/martiri-cristiani-e-coscienze-vaticane/75341/

mercoledì 3 novembre 2010

Vattimo a Radio 24

Meglio le belle ragazze?

Ricordando un famoso film con Carotenuto e Sordi, il Premier fa coming out e dice: "meglio le belle ragazze che essere gay". E si scatena un putiferio.

Ascolta un estratto del programma - Gianni Vattimo commenta la battuta di Berlusconi sui gay...

Gianni Vattimo, filosofo ed europarlamentare dell'Idv, sostiene che le frenesie sessuali di Berlusconi sono frutto di senilità e che siano più che risapute tra i suoi elettori.

http://www.radio24.ilsole24ore.com/main.php?dirprog=La_Zanzara

Che B. ci aiuti (a farlo cadere)

Post sul sito de Il Fatto Quotidiano, 3 novembre 2010

Che B. ci aiuti (a farlo cadere)

Ballarò di ieri sera, litania: bisogna giudicare B. non per la sua vita privata ma per quello che fa al governo. Accettiamo il consequenzialismo, e spingiamolo fino in fondo. Quali le ripercussioni dell’agire di B.? Primo, la stampa estera è scandalizzata. “Unfit to lead Italy”, diceva un tempo l’Economist. Ma ora ci ridono dietro, nel migliore dei casi. E reputano l’Italia un paese ormai perduto. Secondo, il presidente della Camera è scandalizzato. Bocchino sembra uno del Pd, tanto che verrebbe da dar ragione a Lupi: dov’era Fli quando B. proponeva unicamente leggi ad personam come azione di governo? In ogni caso, la fiducia che Fini ripone nel governo sembra ormai esaurita. Terzo, Mubarak (almeno immaginiamo) è imbarazzato. Quarto, i gay sono imbestialiti. Quinto, qualsiasi escort in Italia, oggi, può tranquillamente asserire di essere stata con B. anche se non è vero: tanto un’eventuale difesa di B. appare meno credibile delle più mirabolanti dichiarazioni che le tante Ruby potrebbero fare, anche mentendo.

Un politico dovrebbe non solo saper governare bene, ma anche – e solo, talvolta – saper governare. In queste condizioni, anche senza considerare l’aspetto etico della vicenda, B. non è in grado di governare. Sa solo chiamare in causa il Fondo Monetario Internazionale, non per dire che è stato obbligato a una manovra restrittiva, ma per vantarsi del sostegno ricevuto da un’istituzione che la sua credibilità l’ha persa per ben due volte, con le crisi finanziarie degli anni Novanta e con l’assurda ostinazione su quelle “riforme strutturali” (flessibilità del lavoro, riforma delle pensioni, ecc.) che oggi impediscono all’Occidente di attuare politiche di rilancio. Berlusconi è come il Fondo, senza credibilità. Con l’attacco ai gay, l’ha persa del tutto. Quando ci si difende spiegando che è “meglio essere appassionato di belle ragazze che gay”, si dichiara con orgoglio di non voler essere il presidente che rappresenta tutti gli Italiani, si crea un nemico tra i cittadini stessi (non più i terroristi, dunque, né gli immigrati, clandestini o meno). Naturalmente, lo si fa per ottenere il consenso degli altri, come in ogni dittatura che (non) si rispetti. Magari gridando di essere il partito dell’amore, fondato sui tanti cittadini “che cercano una causa fondata sull’amore, sulla giustizia e sulla libertà. Una causa che, con la forza invincibile degli ideali più nobili, trionfi sulla violenza, gli estremismi e l’odio” – ma non ci si inganni: queste parole non sono di B., sono di Jorge Rafael Videla, il dittatore argentino a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta (“I mondiali della vergogna”, di Pablo Llonto, sono piuttosto istruttivi al riguardo).

La cacciata di B. è un’occasione propizia per ridare credibilità al paese. Gli unici esempi di credibilità arrivano oggi da quei settori che, con il loro, difendono un interesse che non può che coincidere con quello generale – i disoccupati, i precari della ricerca, i magistrati, ecc. –, perché ne va della loro libertà, e dunque della libertà di tutti. Si faccia uno sforzo di chiarezza, tutti, per una volta: basta con la retorica del “parliamo dei problemi veri del paese”, se non si riesce a parlarne è anche, e soprattutto, per colpa del macigno-B. Se ne liberi Fini, se ne liberi il povero Lupi, se ne liberi l’Italia, se ne liberi persino la Chiesa, dalla quale sarebbe doveroso attendersi una presa di posizione forte: se per Famiglia Cristiana il B. di Ruby è “indifendibile” e “malato”, lo è a maggior ragione il B. che divide il paese che governa tra gay e non. La fine di B., se mai arriverà, non sarà solo un sollievo, ma un’occasione di rinascita. Che B. ci aiuti (a farlo cadere).

Gianni Vattimo
http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/11/03/che-b-ci-aiuti-a-farlo-cadere/74964/